Giampiero Mughini: “Ebbi il fegato di ribattere a Montanelli dicendogli..”

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Giampiero Mughini, 79 anni, dandy del giornalismo italiano, opinionista pungente, fine scrittore, oggi si racconta a OFF…

Mughini, ci parli del suo nuovo libro in uscita.

«Proprio in questi giorni sarebbe dovuto uscire il mio “Nuovo dizionario sentimentale”, rimandato credo a settembre. Trent’anni fa infatti scrissi un libro del quale sono molto orgoglioso, “Dizionario sentimentale”. All’epoca erano decisive le ideologie: destra o sinistra. A me però già sembravano una porcheria, perché piuttosto trovavo importanti i sentimenti, le sfumature personali. Il libro venne trattato con sdegno dagli imbecilli di sinistra, perché i cretini sono dappertutto, ma io ebbi a che fare soprattutto con quelli. Ricordo persino che sull’Unità apparve un articolo di insulti su quel libro, scritto da un imbecille qualsiasi del quale nemmeno ricordo il nome. Oggi allora scrivo una nuova versione del “Dizionario sentimentale”, tutt’affato diverso e diversissimo a distanza di tanti anni e alla luce di nuove memorie».

Secondo lei questo governo ha ancora vita lunga?

«E’ un governicchio, quindi ne dubito. Il governo che verrà, invece, dovrà essere guidato da una personalità di spicco come Mario Draghi e affrontare un’economia in picchiata con competenza, senza perder tempo con porcate come il reddito di cittadinanza».

La liberazione di Silvia Romano…

«Una vita è stata salvata e ne sono contento. Naturalmente questa vita è stata pagata, come sempre è accaduto. Solo in un caso l’Italia non pagò per la vita di un suo cittadino: quello del Presidente Aldo Moro. Una vergogna che ancora incombe sulla politica italiana».

A proposito, avrà visto che le Sardine hanno scritto qualche giorno fa su Twitter che Moro fu ammazzato dalla mafia…

«Il livello è questo e bisogna rendersene conto. Lo si vede in televisione come sui social. Scusi, un pensiero di 200 battute che pensiero è? E’ uno schiamazzo, un rutto. Le cose bisogna covarle, prima di scriverle o di dirle. Le racconto un aneddoto: quando ero ragazzo, insieme ad altri amici mettemmo in piedi un centro universitario cinematografico con film introdotti ogni volta da uno di noi. Prima di parlare alla platea, colui che avrebbe introdotto la pellicola veniva però interrogato dagli altri per sondare la sua preparazione. Ecco, questa è la vita vera: un esame, un continuo esame per il quale bisogna essere preparati».

Ci racconti una batosta che ha preso lei invece durante la sua carriera…

«Da ragazzo affrontai con superficialità la traduzione di un libro in francese, lingua che conoscevo molto bene. Da quel lavoro mi sarebbero dovute arrivare 700.000 lire, ma la mia traduzione faceva schifo e non ne ebbi neppure un centesimo. Imparai allora che le cose vanno fatte per bene, perché nessuno ti regala nulla. Pensi che quei soldi mi sarebbero serviti per venire a vivere a Roma da Catania».

Per concludere, ci racconti un episodio OFF della sua carriera, qualcosa che non ha mai raccontato…

«Quando Indro Montanelli mi chiamò per fare una rubrica intitolata “L’invitato” (sul Giornale  n.d.r.), mi disse: “Ti do 250.000 lire a pezzo”. Io, che mi trovavo dinnanzi al principe del giornalismo italiano, ebbi il fegato di ribattere: “Dammene 300.000!”. Ero molto orgoglioso e sapevo di valere. Così Montanelli, che sapeva riconoscere il valore delle persone, accettò».