L’ultimo libro di Domenico Vecchioni, “Le spie del duce “(Edizioni del Capricorno), è da qualche settimana in libreria. Una presenza tra gli scaffali, dopo i mesi di emergenza sanitaria, che sicuramente attirerà l’attenzione di numerosi lettori ed appassionati di storie di intelligence, soprattutto durante le dittature fascista e nazista. Vecchioni, infatti, è uno dei massimi esperti di questi argomenti. L’impegno dell’ex Ambasciatore d’Italia a Cuba si concretizzerà a breve anche con la pubblicazione dell’edizione cartacea di “Eventi e personaggi straordinari della Seconda guerra mondiale” (Mazzanti Libri). Il libro è uscito prima in edizione e-book, durante il lockdown, e, visto il successo ottenuto, sarà venduto in libreria.

Eccellenza, l’apparato di spionaggio voluto da Mussolini è stato il pilastro della dittatura e della sua lunga durata?
Credo proprio di sì. Quanto meno uno dei due pilastri fondamentali. Tutte le dittature, sotto qualunque cielo si manifestino e a qualsiasi ideologia si ispirino, poggiano la loro sopravvivenza e il loro sviluppo su due colonne portanti. Da una parte, un efficace apparato propagandistico e di “indottrinamento”, con i suoi riti, le sue coreografie, le sue mistiche, per generare il consenso e mitizzare la figura del Capo. Dall’altra, un sistema di polizia politica e d’intelligence, concepito per controllare il consenso, mantenendone alta la “qualità”, neutralizzare l’opposizione e reprimere il dissenso. Il fascismo non farà eccezione alla regola. Sia le istituzioni create dal regime (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, Ceka del Viminale, Ovra, Sim, Tribunale Speciale) sia i corpi dello Stato già esistenti (Pubblica Sicurezza, Carabinieri), ebbero in definitiva un’unica finalità: salvaguardare il regime e proteggere il suo Duce. Facce diverse di una stessa medaglia. Fenomeno del resto facilitato dalla progressiva identificazione del Fascismo con lo Stato e dall’atavica propensione degli italiani a salire sul carro del vincitore, salvo a scenderne non appena spuntano all’orizzonte i primi segnali della sconfitta.
Il fascismo ha esercitato un controllo sociale potendo contare su un’articolata organizzazione dei servizi segreti. Anche le dittature moderne attribuiscono fondamentale importanza al sistema di spionaggio e controspionaggio?
Certamente. Le loro strategie di sopravvivenza, le loro strutture operative, i loro meccanismi politici, il funzionamento dei loro apparati repressivi sono assai simili. Dalle “polizie politiche” all’inquadramento della gioventù, dai metodi per stimolare il consenso alla progressiva gerarchizzazione della società, dalla repressione politica alla manipolazione delle folle. Comportamenti simili nel tempo e, paradossalmente, anche in ideologie contrapposte. Io ho vissuto quattro anni a Cuba e le posso dire che in questo settore ho riscontrato inquietanti affinità con le strutture del fascismo. Ad esempio, come non constatare che i Pionieri di Josè Martì richiamano alla mente i nostri Balilla, la Federazione degli studenti medi i nostri Avanguardisti, la Federazione degli Studenti Universitari (FEU) i Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Somiglianti nell’organizzazione anche i vivai del partito unico al potere, Unione dei Giovani Comunisti e Giovani Fascisti. Come non paragonare le finalità della Direzione Generale per la Sicurezza dello Stato (DGSE) – la temibile Seguridad – a quelle dell’OVRA.
La mistica fascista e la mitologia comunista hanno tratti comuni?
Sicuramente. Le tecniche di indottrinamento delle folle sono analoghe. Stessa propensione a riscrivere la storia con il proprio filtro ideologico. Simile anche il sistema della delazione, inevitabile e triste prodotto di tutte le dittature. E lo spionaggio politico di quartiere? Se a Cuba sono attivi localmente i famosi CDR (Comitati per la Difesa della Rivoluzione), durante il fascismo in Italia operavano i famigerati Capi Fabbricati, che avevano il compito di verificare la “qualità” ideologica degli inquilini. Si potrebbe continuare. È certo in ogni caso che le dittature si nutrono delle stesse radici organizzative
Mussolini comprese l’importanza, per instaurare e conservare la dittatura, di una rete di diplomatici-spie. Ci sono stati personaggi particolari della diplomazia italiana impegnati a riferire al duce?
Parlerei piuttosto di spie-diplomatici. Nel senso che effettivamente molti nostri consolati e ambasciate, soprattutto nei Paesi dove più numerosi erano i fuoriusciti politici (ad esempio la Francia), furono riempite di agenti della Ceka prima e dell’Ovra poi, sotto varie coperture diplomatiche. C’era del resto un’eccellente collaborazione tra il Ministero degli Esteri e quello dell’Interno, anche perché il ministro era lo stesso e coincideva col Capo del governo. Mussolini in effetti tenne l’interim dei due dicasteri per molti anni! L’attività di questi falsi diplomatici? Tenere d’occhio i rifugiati politici e i loro collegamenti con l’Italia. Come? Attraverso infiltrazioni, attiva disinformazione, a volte anche “esfiltrazioni”, attività coperte insomma di vario genere. Il Consolato più attivo in questo tipo di attività fu quello di Nizza, base operativa per le regioni del sud. Posso al riguardo apportare anche una testimonianza per così dire personale.
Ci racconti…
Sono stato Console generale in quella città, dal 1999 al 2003. E ancora oggi nell’edificio che ospita gli uffici (un bel palazzo in puro stile littorio) è visibile una vera e propria stanza di sicurezza, chiamata “la prigione del Consolato”, utilizzata negli anni Venti/Trenta per chissà quali inconfessabili iniziative. Poteva d’altra parte anche succedere che, nel quadro della stretta collaborazione Esteri/Interno, qualche funzionario di carriera si prestasse ad assumere notizie utili sui fuoriusciti. Da non dimenticare poi che per lo spionaggio più strettamente militare, gli addetti militari delle nostre ambasciate erano spesso chiamati a dare il loro contributo.

Nelle odierne democrazie l’intelligence svolge un ruolo nell’ombra, ma fondamentale. Da quali minacce ci si deve difendere oggi?
Direi che oggi le maggiori minacce sono quelle cosiddette “transnazionali”, che si fanno cioè gioco dei confini nazionali, geograficamente disperse, senza legge e senza codici condivisi, gruppi armati difficilmente identificabili, con capacità di utilizzare tutti i mezzi di distruzione immaginabili. A cominciare dal terrorismo internazionale che negli ultimi anni si è arricchito di una nuova componente: l’estremismo islamico. Nelle “nuove minacce” entrano poi il traffico internazionale di stupefacenti, la tratta degli esseri umani, la rete internazionale del crimine organizzato, la proliferazione delle armi convenzionali e NBC (Nucleari, Batteriologiche e Chimiche). Senza parlare dei pericoli che più caratterizzano la nostra epoca: la sfida cibernetica, la guerra economica, le migrazioni di massa incontrollate e, da ultimo, le pandemie globali. Tutti elementi che possono mettere in pericolo la sicurezza delle popolazioni e minacciare l’indipendenza economica di un paese. In tale contesto le sfide dell’Intelligence non potranno che diventare “globali” e i suoi metodi sottoposti a significative revisioni. Alle “nuove minacce “, insomma, dovranno corrispondere le “nuove competenze” che dovranno acquisire i servizi d’Intelligence dei Paesi democratici e liberi.
Emblematica la figura di Luca Osteria descritta nel suo libro, “Le spie del duce”. Chi era davvero Osteria?
Osteria è stato definito, a ragione, la migliore spia del regime. In effetti fu protagonista di azioni segrete “da manuale”. Condusse con successo una fantastica infiltrazione presso i fuoriusciti italiani a Marsiglia. Fu tanto credibile che il partito comunista italiano, che operava appunto dalla Francia, lo designò quale sua rappresentante al primo congresso antifascista che si tenne a Berlino nel 1929. Realizzò una “esfiltrazione” dall’Australia di un ex fascista che minacciava di fare dichiarazioni esplosive che avrebbero riaperto il caso Matteotti. Infiltrò successivamente la “Concentrazione Antifascista”, embrionale raggruppamento di tutti i partiti contrari al fascismo. Fu a capo di una speciale sezione chiamata “I Tigrotti”, di cui il Duce fu particolarmente soddisfatto. Infiltrò in Svizzera il Centro estero del Partito Socialista. Lo fece con tale maestria, che collaborò con Ignazio Silone sulle colonne del foglio antifascista “Il Terzo Fronte”. Beffò i servizi segreti britannici, ritenuti i migliori al mondo. Insomma una “primula nera” tremendamente efficace. Una primula nera però che, fiutando con diabolica abilità il cambio di direzione del vento della Storia, avviò un sofisticato doppio gioco con il capo della Gestapo in Lombardia, Theo Saevecke, per salvare la vita a diversi resistenti caduti in mani tedesche. Lo stesso Indro Montanelli, rinchiuso a San Vittore nel 1944 perché ritenuto antifascista, lo testimonierà: “Scappai grazie a un ordine di trasferimento al carcere di Verona, un ordine fasullo, architettato dal famoso “dottor Ugo”, un uomo che si chiamava in realtà Luca Osteria”. La ex primula nera finirà per collaborare con Ferruccio Parri, quando il leader azionista divenne capo del governo di unità nazionale e fu destinatario nel dopoguerra di attestati di gratitudine da parte di qualificati esponenti della Resistenza.
















