“Lo vede il dito? Lo vede che stuzzica? E prematura anche!”. Compie 50 anni la supercazzola, insieme al film che rese questa burla cinematografica una parte integrante della cultura pop nazionale, “Amici miei”. Era il cavallo di battaglia del conte Raffaello Mascetti – Ugo Tognazzi – condivisa dai suoi compagni di “zingarate”, strumento di prevaricazione sui sempliciotti, gli sprovveduti, le malcapitate vittime.
La supercazzola, o supercazzora, termine privo di ortografia definita per sua natura, è nata da una solenne sbornia. Lo aveva raccontato Gianmarco Tognazzi, figlio di Ugo, proprio durante il X festival delle Città Identitarie, a Pomezia, città che nella sua frazione di Torvajanica ha visto il Mattatore come ospite fisso – proprietario di una villa – e animatore di una vita artistica intensa e scanzonata, con l’invenzione del torneo tennistico dello “Scolapasta d’oro” e la nascita di quello che è oggi il “Villaggio Tognazzi”.
La supercazzola nasce proprio in una serata conviviale, dopo la crapula e il vino a fiumi. Erano le tre o le quattro di mattina, e Ugo Tognazzi, insieme al regista Pietro Germi e agli autori Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli stavano cercando di vergare qualche battuta per il film che poi sarebbe stato completato da Monicelli. Ubriachi all’inverosimile del vino di casa, stavano prendendo appunti sulle parole biascicate da Ugo: “Segna, segna… supercazzora… antani…”, diceva Ugo quasi incomprensibile.
E l’incomprensibilità è la cifra di quello scioglilingua nonsense usato nel film per confondere gli interlocutori, prenderli in giro, cavarsi d’impaccio o millantare. E’ una prova d’attore del personaggio, che con fare forbito e sicumera raggira il malcapitato di turno.
La supercazzola rappresenta l’applicazione nazionalpopolare della metasemantica di Fosco Maraini, che con la sua celebre poesia nonsense, Il Lonfo, nella sua raccolta “Gnòsi delle fànfole” del 1966, ha dato una rinnovata veste letteraria nell’Italia del Novecento a una tradizione che aveva radici in Boccaccio, Rabelais e Lewis Carrol.
Nell’estate di quel 1975 il capolavoro di Germi e Monicelli, che aveva preso il testimone dopo la scomparsa del regista, piombava nelle sale italiane. Era stato vietato ai minori di 14 anni eppure sbancò al botteghino, risultando campione d’incassi assoluto in Italia nella stagione 1975-76 con un ricavato di 7.572.000.000 di lire e complessivi, finora, 10.467.254 biglietti staccati. Ma soprattutto, aveva fatto entrare nella leggenda e perfino nel vocabolario la supercazzola. Con la più grande naturalezza, come se fosse antani.


















