Potenza

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Potenza, Small capital dell’Appennino meridionale

L’identità del capoluogo lucano crea una linea feconda per immaginare sviluppo e futuro

Se la questione dello spopolamento sembra accelerare la frattura fra aree interne e poli urbani di sviluppo, non meno divisivo è il tema che mette a confronto montagna e aree costiere. Quasi che vi sia un unicum non modificabile nel declino antropico e sociale dell’Appennino e in particolare dell’Appennino meridionale. Non riconoscere il valore urbano delle città dell’Appennino significa sfuggire alla storia e alla cultura del nostro paese. Semplicemente perché l’eccessiva antropizzazione delle città metropolitane e delle stesse fasce urbane costiere svela la saturazione degli spazi vitali, apre al dibattito sulla qualità ambientale e sull’indebolimento della rete dei servizi. Né va dimenticato il vero e proprio dramma delle periferie urbane incapaci di completare i processi di inclusione fra etnie. Basti pensare alla questione assai delicata della distanza religiosa, spesso raggomitolata nei confini di una rigidità ideologica e di genere di indubitabile tossicità sociale. Inutile poi evidenziare il caso diffuso della criminalità e delle gang giovanili. Questa premessa non vuole negare l’importanza della modernità e la necessità di riconoscere il valore dei grandi poli urbani che per rango appartengono alla storia più nobile della nostra tradizione e dei modelli sociali che ne sono conseguiti. Ma certo non è possibile neppure immaginare un’Italia svuotata del suo ventre o se volete delle arterie che consentono all’intero corpo nazione di tenersi unito e vitale. Eccole, dunque, le città delle aree interne, dell’Appennino italiano. Le città di provincia da Perugia all’Aquila, da Campobasso a Potenza e Matera. Ed è proprio la città di Potenza con la sua progettualità, con l’idea di tenere insieme storia, tradizioni e futuro, idea ben sviluppata durante il Festival delle Città Identitarie, tenutosi nel capoluogo lucano nell’estate del 2023, a credere che lo spopolamento non è praticabile come modello a prescindere. Una città green, sostenibile, aperta ad un rapporto virtuoso fra salute, benessere e servizi, che vive di risorse irrinunciabili come la qualità dell’aria, dell’acqua, dei suoi parchi e giardini, della sua tradizione culinaria, senza rinunciare alla valorizzazione del borgo storico posto a più di 800 metri sul livello del mare, ne fanno una eccellenza da conoscere e visitare. La città verticale, piccola capitale dell’Appennino meridionale, con i suoi campanili a prolungare il rapporto fra cielo e terra. E poi le cento scale, fisiche e meccaniche, i ponti sul fiume a valle fra romanità e architettura futurista. Potenza con il suo teatro storico, il conservatorio musicale, città che fu anche di Leoncavallo, dove il grande compositore scrisse I Pagliacci. Città catara, ribelle, con uno dei dialetti, il gallo italico, più antichi dello stivale. Potenza è la porta dell’Appennino meridionale, un hub naturale che si apre ai Castelli federiciani, A Maratea, la perla del Tirreno, alle Dolomiti Lucane con i suoi attrattori e poi a Matera, capitale Europea della cultura nel 2019. Potenza, Small capital della lucanità più autentica e nobile. Potenza nell’ultimo decennio è andata via via registrando una progressiva crescita di iniziative. Si è sviluppata una relazione feconda fra cittadini, associazioni, corpi sociali e istituzioni. A partire dal governo cittadino, il cui orientamento politico e culturale è fortemente improntato al principio di sussidiarietà. Certo, la città è parte di una storia più grande, della coscienza nazionale, europea e mediterranea così come è andata strutturandosi nell’eredità greco-romana e cristiana. Luogo privilegiato di confronto tra culture, aperta a contaminazioni e reinterpretazioni, ma con una propria dimensione civile e giuridica, elaborata nei secoli e proposta agli altri. Di questa eredità i potentini si sentono figli. È questa eredità che crea la città identitaria. Il Festival delle Città Identitarie ha lasciato un’eredità precisa: tener vivo il dibattito pubblico è compito anche della cultura, così come ritrovare il coraggio di ripercorrere la storia recente e meno recente anche nella prospettiva di «cicatrizzare vecchie ferite». Dentro le comunità locali si riducono le distanze e abbattono gli steccati ideologici. Senza che si resti sui blocchi di partenza delle proprie appartenenze. La memoria da sola tiene aperte le ferite. È necessario elaborare, purificare quella memoria, via maestra per una autentica riconciliazione foriera di pace e guardare alla storia, al proprio passato, con spirito di verità. Ecco perché non esistono piccole città e grandi città, luoghi aggreganti e aree residuali. Esiste un’Italia grande ed estesa dentro la quale vivono comunità forti, ricche di creatività. Luoghi dello spirito, come Potenza, dove il futuro si tinge di tutti i colori del passato. [Gianfranco Blasi]

   

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