Rieti, riscoprire la nostra identità profonda
Il sindaco del capoluogo sabino racconta le meraviglie dell’Umbilicus Italiae
Umbilicus Italiae. Rieti è uno scrigno di bellezze storiche, culturali, artistiche, paesaggistiche ed enogastronomiche. L’Ombelico d’Italia, come la definì Varrone, sorge nella fertile Piana Reatina alle pendici del Terminillo, sulle sponde del Velino, in quella terra che anticamente era occupata dalle acque del Lacus Velinus e poi bonificata in età romana dal console Manio Curio Dentato. Reate, secondo la leggenda fondata dalla dea Rea Silvia, sorse all’inizio dell’età del Ferro, intorno al IX-VIII secolo a.C. Nel XIII secolo, fu spesso eletta a sede papale: vi risedettero Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, Niccolò IV e Bonifacio VIII. Il rapporto stretto tra Rieti, il territorio circostante e le ragioni profonde della nostra storia si trovano nell’eredità che San Francesco ha lasciato su queste nostre terre, definite appunto Valle Santa per i lunghi periodi trascorsi dal Santo che fondò i quattro santuari di Greccio, Poggio Bustone, La Foresta e Fonte Colombo, e che 800 anni fa qui realizzò il primo presepe e scrisse la Regola dell’ordine Francescano.
Oggi quell’esperienza riecheggia non soltanto nella spiritualità dei santuari francescani ma anche nel rapporto con lo splendido contesto naturale che Rieti offre ai pellegrini che decidono di percorrere il Cammino di Francesco che si estende nella nostra valle. E la centralità di Rieti ritorna nel fluire dal passaggio della Via Salaria, arteria di collegamento rimasta fondamentale anche dopo l’età romana, all’affermazione del sistema di gestione benedettino che tesseva la contiguità socio-culturale delle zone interne dell’Appennino e che vedeva nella straordinaria Abbazia di Farfa, nel cuore della Sabina, uno dei suoi elementi più preziosi. Forte il lascito di Rinascimento, Barocco e Neoclassicismo: Vignola, Maderno, Bernini e Valadier, le botteghe dei Manenti e Torresani e altri illustri personalità della pittura come Girolamo Troppa, Carlo Cesi e Antonio Gherardi. Nel 1821, a Lesta, il Reatino fu teatro della prima battaglia del Risorgimento e nel 1849 residenza di Garibaldi per quasi tre mesi. Una città e un territorio, dicevamo, profondamente legati all’aspetto naturalistico: dal Terminillo che sovrasta il capoluogo e l’intera Valle Santa al rapporto stretto con l’acqua, da problema a risorsa e ricchezza come dimostra l’inserimento della Piana Reatina che, a seguito dei processi di antropizzazione, bonifiche e trasformazioni, nel Registro nazionale dei Paesaggi rurali storici. Il caratteristico centro storico della città è delimitato da una cinta di mura medievali tra le meglio conservate nel Lazio e ricco di edifici storici.
A partire dal Palazzo Vescovile realizzato nel 1283, nei pressi della Cattedrale, dai tanti palazzi nobiliari, passando per l’attuale sede del Palazzo di Governo, le tante chiese di pregio, i resti del ponte romano e la «Rieti Sotterranea» dove scoprire tesori nascosti sotto la parte più antica del capoluogo, fino ad arrivare a veri e propri gioielli di caratura nazionale ed internazionale come il Teatro Flavio Vespasiano, uno dei migliori in Italia per acustica e recentemente inserito fra i Monumenti nazionali. Oggi “Rieti, attraente per natura”, come recitava un vecchio slogan di promozione turistica della provincia, ma io aggiungerei anche per storia e per cultura, è un capoluogo che attraversa un periodo di grande cambiamento. Dopo la fine della Cassa del Mezzogiorno, polmone economico della sua esplosione industriale, gli anni della crisi, lo spopolamento e infine il terremoto di Amatrice del 2016 e la pandemia, la voglia di riscatto sta facendo sempre più breccia nei cuori e nelle menti delle generazioni più giovani. Un buon lavoro sul PNRR, i fondi della Ricostruzione, l’apertura delle sedi distaccate delle università Sapienza e Tuscia con 13 corsi universitari, il coordinamento e la sinergia tra le istituzioni del territorio che ha portato all’assegnazione dei Campionati europei juniores di atletica leggera del 2026, alla vittoria del dossier costruito insieme alla Città dell’Aquila per la capitale italiana della cultura e ai Mondiali di volo a vela previsti per il 2027 aprono una nuova stagione. L’obiettivo e il compito è chiaro: mettere a sistema il patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico per una proposta rinnovata, rigenerare la città e i suoi spazi attraverso nuove funzioni, riscoprire la nostra identità più profonda e costruire un futuro per uno dei centri delle aree interne della spina dorsale d’Italia: l’Appennino centrale… il lascito dei nostri padri, la casa dei nostri figli. A noi questa grande responsabilità e questo grande onore. [Daniele Sinibaldi]