Nicola Pietrangeli è morto oggi, 1° dicembre 2025, a 92 anni. È stato il più grande tennista italiano del Novecento, ultimo custode di un’epoca in cui il tennis era ancora un rito fatto di racchette di legno, completi bianchi e campi di terra battuta che profumavano di tradizione più che di tecnologia. Pietrangeli è stato il primo italiano introdotto, nel 1986, nella International Tennis Hall of Fame: un ingresso che dice molto più di qualsiasi commemorazione.
Due Roland Garros consecutivi, 1959 e 1960, e gli Internazionali d’Italia vinti nel 1961. Numeri che, riletti oggi, sembrano appartenere a un altro sport, forse a un’altra dimensione. Ma erano semplicemente lui: talentuoso, elegante, feroce quanto bastava per dettare legge sul rosso. Il suo rapporto con la Coppa Davis, poi, è da romanzo epico che ha fatto storia.
La sua carriera inizia presto: 18 anni appena, Internazionali d’Italia del 1952, subito fuori al primo turno. L’anno dopo, Monte Carlo, la prima finale. Il resto è un percorso che attraversa vent’anni di tennis ad altissimo livello. Pietrangeli non era solo un campione: era un personaggio. Ironico, diretto, allergico alle celebrazioni di maniera. Una figura che negli ultimi anni poteva sembrare anacronistica, e proprio per questo necessaria. Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica, volto storico dello sport italiano nel mondo, Pietrangeli lascia un vuoto che non è solo sportivo. Con lui scompare l’idea, forse ingenua, forse meravigliosa, di un tennis capace di unire stile, disciplina e poesia. Un tennis che oggi sopravvive soltanto nei filmati d’archivio e nei nomi che non smettiamo di ricordare.


















