Cultura di destra… egemonia, contro-egemonia… Finalmente si torna a parlarne e ci voleva l’assenza di Alessandro Giuli da quel Premio Strega che – in pieno inverno demografico e crisi valoriale – decide di mettere su un piedistallo il solito libello contro la famiglia e contro il padre, prodotto di un trito sessantottismo. Il libro non l’ho letto e non mi piace, e bene ha fatto il ministro a snobbare quell’accolita di bramini del decostruzionismo, dichiarandone la non rilevanza per l’agenda di un servitore dello Stato. In altre parole, non c’è obbligo cerimoniale a porgere omaggio alle logge, agli altari (e altarini), ai riti che la sinistra ha imposto finora: cara sinistra, non sei la padrona di casa a cui andare a fare il baciamano prima di tuffarsi sul buffet. Sei un’inquilina di questa baracca, come noi, come tutti. Ti si saluta a distanza, ciao ciao, e la serata va avanti.
È una serata senza infamia né lode, ne abbiamo viste di meglio (quantomeno i nostri nonni…) ma anche di molto peggio. Qualcosa si muove e – come fa notare la Terranova su “Libero” – sono bastate due mostre per far saltare i nervi alla sinistra. Il riferimento è a quelle su Tolkien e sul Futurismo, che i lettori di CulturaIdentità conoscono bene perché le abbiamo coperte con dovizia di particolari. Una copertura meritata, visto che si è trattato di eventi (parola non a caso) ben confezionati e galvanizzanti, tanto che chi ha provato ad attaccarli si è rotto moralmente i denti per aver morso noci ben dure, facendo la figura del livoroso e del critico prezzolato un tanto a rigo.
Il fronte più difficile, quello della Rai, si muove a sua volta. È inesorabile e fa passi avanti inattaccabili, perché improntati al pluralismo, alla professionalità e al racconto dell’identità italiana a tutto tondo.
Merito all’AD Giampaolo Rossi, che con pazienza e determinazione (basti pensare a quanto tempo c’è voluto per far finalmente trionfare con l’assunzione dei 127 precari di giugno una visione di “destra sociale”: “le cose si fanno perché sono giuste, punto”) sta riportando il servizio pubblico in bolla, dopo gli squilibri del decennio passato. La mutazione di Sanremo – passato dall’epater le bourgeois arcobaleno delle edizioni passate al ritorno della giacca, cravatta e, soprattutto, della musica dell’ultima – è uno dei segnali che qualcosa sta cambiando, come pure la trasmissione su RaiTre (olim Tele Kabul) delle puntate di “Inimitabili” ideate e dirette da Edoardo Sylos Labini, inappuntabili dal punto di vista storiografico e iconografico anche grazie ai nomi che vi hanno lavorato da Angelo Crespi (meritatamente giunto alla direzione della Grande Brera) alla consulenza di mostri sacri dell’università come Alessandro Campi o il mai abbastanza compianto Giuseppe Parlato.
È sufficiente? Oh no che non lo è.
L’optimum sarebbe poter avere in Italia un’industria culturale in grado di annichilire con una contro-produzione del livello della storica, mitica, “Odissea” di Franco Rossi del 1968 la porcata hollywoodiana che ci sta apparecchiando Christopher Nolan con il suo stupro del poema omerico, ma è dai tempi della fuga di De Laurentiis che l’Italia non riesce più a tirar fuori un cinema in grado di sfidare le corazzate straniere, anche e soprattutto grazie a quella cinematografia “di sinistra” richiusa sul suo ombelico delle storie di quarantenni sottoccupati in crisi di mezza età, accoglienza dei “migranti” e femminismo rampante. Però sappiamo qual è l’obbiettivo, e a quello dobbiamo tendere, ci dovessero volere 50 anni.
E visto che s’è citata la Rai, merita di ricordare un episodio di 40 anni fa, quale esempio di cosa non fare se si vuole creare una contro-egemonia chiudendo una volta e per sempre la bara con dentro lo zombie arcobaleno del gramscismo.
Era il 1984 quando un giovane regista giapponese venne scritturato dalla Tv di Stato per produrre dei cartoni animati. Il nipponico in questione era un tal Hayao Miyazaki, che insieme agli italiani Gi e Marco Pagot mise su rodovetro dei gustosi pastiche steampunk su Sherlock Holmes. Inutile dire che ai primi problemi burocratici, la serie venne interrotta e chiusa la collaborazione con Miyazaki. Dopo quella vicenda gli anime sparirono dalla Tv pubblica. In pratica la Rai ha avuto sottomano il più grande regista di animazione della storia dopo Walt Disney e se l’è fatto scappare.
Perché questa digressione? La cautionary tale è la seguente: se si vuol veramente sfruttare il momento e creare quella “cultura di destra” in grado di uscire dai soliti temi, dal provincialismo e dal dilettantismo tocca cominciare a dare la caccia alle teste. Prendere la gente brava, brava perché brava, non brava perché “amica di” o perché ha fatto per 13 anni l’attacchino della sede di partito. Se la destra vuol vincere la guerra culturale deve aprire a chi non è di destra.
E’ una cosa molto diversa dalle proscinesi all’intellettuale organico dell’altra parte nel nome di un “bipartisan” che viene sempre e solo inteso a senso unico (noi chiamiamo i loro, loro si chiamano solo fra loro e ridono di noi). L’organico di sinistra non va cercato, non va blandito. Tanto lui verrà, mangerà a sbafo e si guarderà bene dal rendere il favore.
E dunque il cerchio si chiude, tornando al bel gesto di Giuli che finalmente e vivaddio snobba i decostruzionisti dello Strega. Fatto il primo passo, dimostrato che non c’è nessuna messa che val bene Parigi, ora c’è da fare il passo successivo. L’Italia è piena di talenti senza tessere, senza militanza, senza l’opera omnia di Tolkien sul comodino. Vanno scovati (non è difficile), coinvolti (quindi basta conventicole e circoletti esclusivi), integrati (quindi vanno trovati i fondi e firmati gli assegni). Si deve avere coraggio di dar voce anche a chi non è allineato e coperto. Va fatto quello che l’industria culturale americana fa da duecento anni: “sei bravo, pigliati i miei soldi e mettiti al lavoro”.