La leggenda catanese di Gammazita: una donna contro la violenza

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La leggenda di Gammazita è una delle storie più antiche e commoventi di Catania, Città Identitaria, legata al periodo della dominazione angioina e alla rivolta dei Vespri Siciliani (1282). I lettori di CulturaIdentità potranno scoprire di più su di lei proprio nel prossimo numero, in uscita venerdì 28 novembre prossimo. La sua storia è ambientata all’inizio degli anni Ottanta del XIII secolo, durante la brutale occupazione francese di Carlo d’Angiò. Si narra a Catania vivesse una bellissima ragazza di nome Gammazita, figlia di una famiglia modesta della Città etnea.

Era promessa sposa a un giovane catanese, Giordano, e i due si amavano teneramente. Un giorno, un soldato francese di nome Drogues o Drouet – italianizzato in Droetto – bighellonando vicino al pozzo dove Gammazita attingeva l’acqua (il famoso Pozzo di Gammazita, ancora esistente), la vide e se ne invaghì lascivo. Accecato dal desiderio e convinto della sua impunità come occupante, cominciò a perseguitarla, a farle regali, a minacciarla. Lei però lo respingeva sempre, fedele al suo promesso sposo. Una sera, o secondo altre versioni, la mattina stessa delle nozze della giovane con Giordano, lo sbirro francese la seguì fino al pozzo e tentò di violentarla.

Gammazita, per difendere il proprio onore e non cedere alla prepotenza dell’odiato francese, si gettò di sua volontà nel pozzo profondo. Il suo corpo non fu mai più ritrovato. Si dice che le macchie di ruggine sulle pareti del pozzo siano le tracce del sangue di Gammazita che ancora grida vendetta. Una vendetta che sarebbe arrivata di lì a poco, quando scoppiò la rivolta del Vespro Siciliano (30 marzo 1282), e i catanesi ricordarono il sacrificio di Gammazita come simbolo della resistenza all’oppressore francese. Una rivoluzione scatenata a sua volta da un’altra violenza tentata da un tronfio occupante sui siciliani, stavolta a Palermo: durante il vespro del Lunedì di Pasqua del 1282 della soldataglia francese decise di insolentire i palermitani che s’erano riuniti fuoriporta a festeggiare. I siciliani da anni sopportavano ogni sopruso degli angioini, che erano arrivati a rapire i capifamiglia e pretendere dei riscatti e perfino profanare le chiese per rapinarle dei loro ricchi arredi sacri. Ma quando la sbirraglia francese mise le mani su una donna palermitana, la misura fu colma.

Anche qui, il nome tramandato dalla vox populi per il francese è “Drouet”. A Palermo, però, dove l’insulto alla virtù di una donna sposata avvenne davanti a tutti, le cose andarono diversamente che a Catania, dove nessuno poté intervenire. Il marito della donna, disarmato come tutti i siciliani per ordine degli occupanti, riuscì a sfilare la spada al francese e lo trapassò a ferro freddo gridando “Mòra!”, muori. In poche ore la rivolta divampò, partendo da Palermo e Corleone, e la tradizione vuole che ai francesi e i loro collaborazionisti che cadevano vivi in mano degli esasperati siciliani “ben presto veniva in odio la vita”.

Gammazita, come la gentildonna di Palermo sono i simboli delle donne siciliane. Gammazita è l’esempio della vergine che che aveva preferito la morte al disonore e a vendersi allo straniero invasore, ispirando la rabbia, l’orgoglio e la ribellione della città. La gentildonna di Palermo, l’emblema che tutto è sopportabile, tranne che la violenza su una donna.

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