
È ridotto a un sinistro rudere, una piaga nel tessuto di travertino costruito quasi 90 anni fa tutto attorno e ora esteso, in maniera del tutto impropria, anche all’antistante rampa (che qualcuno chiama “piazza”), trasformandola in una distesa abbacinante. Il Mausoleo di Augusto, che nelle intenzioni del grande architetto Antonio Muñoz (1884-1960), avrebbe dovuto diventare “la meta di pellegrinaggio di quanti si vantano di appartenere alla razza latina”, è ora una mostruosità. Un doppio cilindro in tetra muratura, privo della corona di cipressi sacri che aveva in qualche modo restituito alla tomba del fondatore dell’Impero Romano la sua aura di sacralità dopo secoli di vilipendio e degrado.
Il Mausoleo venne messo sotto restauro nel 2007. Tuttavia ancora nel 2014 – bimillenario della morte dell’Imperatore, una data che si sapeva sarebbe arrivata da circa duemila anni… – i lavori erano ancora in corso. Anzi, proprio quell’anno fu votata nella giunta di Ignazio Marino una “nuova sistemazione” del monumento e della piazza, che avrebbe previsto anche la realizzazione di una cavea per spettacoli. Così, la tomba del fondatore dell’Impero Romano, da sacro “luogo di pellegrinaggio” sognato dall’architetto che nel 1937 lo restaurò, sarebbe dovuto diventare una quinta, chiudendo così la parentesi per tornare alla sua destinazione d’uso della Roma papalina.
Poi, per l’anniversario del 2014 venne predisposta la miseria di tre visite su prenotazione, e per soprammercato nella data tonda del duemillesimo anniversario della morte dell’Imperatore, il 19 agosto, subì anche un allagamento per un guasto idraulico. A voler essere superstiziosi, si potrebbe dire che quel “Mane di Augusto che volteggia per l’aere” – come recita in latino la grande iscrizione su uno degli edifici stile Novecento della piazza antistante – si sia voluto vendicare dei suoi indegni successori.

In ogni caso, con la scusa della “nuova sistemazione” della piazza, il monumento venne chiuso ulteriormente, significativamente seguito poco dopo anche dal Museo della Civiltà Romana all’EUR (che è tutt’ora chiuso). Roma perdeva così due poli centrali proprio nel bimillenario imperiale. E le chiusure “per motivi di sicurezza” o “per lavori” – come ampiamente dimostrato in altre circostanze – sono sempre un ottimo sistema per avviare quel processo di cancel culture con cui un monumento ideologicamente detestato viene sottratto alla collettività. Lo si fa per motivi accettabili, indubitabilmente gravi, ma lo scopo è far disaffezionare le masse ai loro punti di riferimento. Che così possono essere dimenticati più facilmente.
Da insomma quasi vent’anni il Mausoleo non è altro che un cantiere, rinchiuso fra squallide recinzioni. E quest’anno ha subito l’ultimo insulto: la strage di quasi tutti gli oltre ottanta cipressi che Muñoz fece piantare sul monumento con l’intenzione di restituirlo se non alla sua grandezza originale quantomeno alla doverosa solitudine e all’amenità che una tomba di cotanto personaggio meritava.
Il bosco sacro piantato negli anni Trenta del secolo scorso riprendeva quelli degli antichi, come descritto da Strabone. Lo scopo dell’alberatura, oltre che restituire amenità al luogo, era quello di riportarlo a una altezza dal piano stradale vicina a quella presumibile dell’originale, affinché il rudere svettasse al centro della piazza e non sembrasse una sorta di rotatoria mal riuscita. Tutto attorno, poi, la piazza era sistemata a sanpietrini e ampie alberature. Un ricordo del passato, oggi completamente ridotto in segatura. La piazza, come il bosco sacro, è stata totalmente pelata dei suoi alberi, in uno scempio iniziato già con la precedente giunta. Lo spazio immaginato da Augusto stesso come un vasto giardino pubblico attorno alla sua tomba di famiglia, re-immaginato dagli urbanisti del Ventennio come piazza monumentale, nel dopoguerra del “tutti a casa” permanente effettivo era stato di nuovo ridotto a luogo come tanti: parcheggio e capolinea per gli autobus, mentre vicino al rudere, nei suoi giardini, si accampavano i barboni e la borghesia-bene della ZTL mandava i cani di casa a fare i bisognini. Certo, l’antica grandezza prebellica resisteva, nonostante tutto. C’è voluto il nuovo secolo, prima con l’oscena sostituzione dell’elegante teca di Morpurgo (pensate un po’: doveva essere una soluzione temporanea…) con la famigerata “pompa di benzina” dell’archistar Richard Meier e quindi con gli inutili scavi (chissà cosa s’aspettavano di trovare di nuovo, visto che l’area era stata passata al setaccio già cent’anni fa sotto la sapiente direzione di Guglielmo Gatti…) e il colpo di grazia è arrivato con la devastazione dell’ultimo decennio.
Ora i due tamburi del Mausoleo giacciono come giocattoli abbandonati. I cipressi che permettevano al Mausoleo di innalzarsi all’altezza degli edifici della piazza sono stati abbattuti, i possenti muri perforati per proseguire i lavori. Così il Mausoleo di Augusto sta incarnando esattamente il senso che il nuovo secolo vuole dare al suo rapporto col passato: mentre la vecchia piazza, sorta attorno al monumento liberato dalle costruzioni e superfetazioni dei secoli, si affacciava sulla tomba dell’Imperatore con deferenza e rispetto, assieme all’Ara Pacis, posta “quasi nel suo tempo, là dove la grande ombra riposa” (parole di Giuseppe Bottai nel 1937) tanto la nuova teca di Meier quanto la nuova sistemazione della piazza che va da Largo degli Schiavoni a Largo San Rocco sgomitano tangenti al Mausoleo. Una scelta decostruttivista, diametralmente opposta a quella del 1937, intesa a rovesciarne tutti i significati simbolici, a banalizzare, sconsacrare un luogo che sarebbe dovuto essere sacro. Una scelta precisa che denota odio profondo per Roma.
















