L’orribile delitto consumato in una metropolitana di a Charlotte, Carolina del Nord (USA) il 22 agosto scorso è passato sotto silenzio. Iryna Zarutska, una ragazza ucraina di 23 anni, fuggita in America dalla guerra, è stata brutalmente assassinata da un pluripregiudicato afroamericano, Decarlos Brown Jr. con una coltellata alla gola.
Un delitto insensato, privo di pretesti. Nel video ripreso dalle telecamere di sorveglianza si vede una carrozza della metro in cui siedono sei persone di colore e Iryna Zarutska, intenta a guardare il telefonino. Alle a spalle della giovane, il suo omicida. L’uomo tira improvvisamente fuori un coltello a serramanico, si alza e sferra a freddo tre fendenti alla gola di Iryna. La vittima, totalmente stupefatta, muore senza neppure sapere bene cosa le sia successo, accasciandosi sul sedile in un lago di sangue, piangendo. L’omicida, tranquillo, aspetta la fermata e scende. Gli altri cinque passeggeri seduti insieme a Iryna ignorano la scena, addirittura voltandosi dall’altra parte nonostante i deboli lamenti della vittima. Uno solo si alza, s’avvicina, guarda Iryna che crolla sul sedile, poi prosegue con indifferenza. Solo dopo quasi 40 secondi di video due giovani accorrono dall’altro lato del vagone. Sono una ragazza bianca e un uomo dai capelli scuri, bianco o latinoamericano, che si sfila la maglietta e cerca invano di tamponare la ferita di Iryna. Troppo tardi. L’emorragia non ha dato scampo alla giovane.
L’orrore di questa scena, l’indifferenza della gran parte dei presenti, l’assenza di movente – se non un folle odio razziale di Brown, che dai filmati sembra dire “ho preso la ragazza bianca” – è ingigantito dall’assordante silenzio dei media americani e poi del resto dell’occidente allargato. Tutti noi ricordiamo il bailamme suscitato dalla morte di George Floyd, pluripregiudicato morto durante una procedura di fermo. L’America venne messa a ferro e fuoco dalle manifestazioni del Black Lives Matter, “manifestazioni per lo più pacifiche” si erano affrettati a commentare i giornalisti mentre alle loro spalle cassonetti e automobili bruciavano e i monumenti venivano distrutti. Manifestazioni in cui altre persone persero la vita, fra cui una ragazza, Jessica Doty Whitaker, madre di un bimbo di 4 anni, assassinata a bruciapelo perché al grido “le vite dei neri contano!” aveva risposto “le vite di tutti contano!”.
La morale di questa storia è che invece pare seriamente che le vite di alcuni contino più delle altre.
Il 9 giugno 2020 venne inscenato alla Camera un siparietto mimando il rituale di contrizione a cui i bianchi d’America si trovarono costretti in quell’estate di fuoco: inginocchiarsi per il pregiudicato George Floyd (un personaggio, giova ricordarlo, che aveva puntato la sua pistola sulla pancia di una donna incinta di 5 mesi durante una rapina…). Nel discorsetto iniziale, dopo aver ribadito “un no forte e chiaro a ogni forma di discriminazione”, venne sgranato l’appello delle categorie che non dovevano essere discriminate: le donne, i disabili, gli immigrati, gli ebrei, i musulmani, i gay, le lesbiche, chi ha la pelle nera… Chi manca in questo elenco?
Ecco dunque il vero perché i giornali del mondo occidentale hanno ignorato la notizia di Iryna per più di due settimane. L’hanno dovuta prendere in considerazione quando la rabbia è montata sui social, e non poteva più essere nascosta: sono lontani i tempi in cui Twitter e Facebook censuravano le notizie, come nel 2020, quando l’infame uccisione di Jessica Doty Whitaker venne letteralmente cancellata per salvare la verginità del movimento BLM. Ora fra chi chiede giustizia per Iryna ci sono anche Elon Musk e lo stesso Donald Trump: “Quando si verificano omicidi orribili, bisogna adottare misure orribili”, ha detto il presidente, evidentemente riferendosi alla possibilità che per Brown si armi il plotone d’esecuzione.
Così dopo 20 giorni anche da noi non si può più ignorare l’elefante nella stanza e se ne inizia a parlare. Ma non manca un certo pompierismo, come su Fanpage, dove si parla di “presenti che hanno cercato di soccorrere Iryna” omettendo che per quasi un minuto chi si trovava seduta accanto a lei s’è voltato dall’altra parte e l’ha lasciata morire dissanguata.
Iryna come Desiree Mariottini o Pamela Mastropietro o Sharon Verzeni, come Jessica Doty Whitaker o le migliaia, decine di migliaia di ragazzine britanniche stuprate, ridotte in schiavitù e perfino assassinate dalle grooming gangs di pakistani coperte da polizia e giudici, come migliaia di altre donne le cui vite, evidentemente, non contano abbastanza, perché hanno il torto di non essere nell’elenco delle “minoranze protette” sgranato dai marxisti culturali delle varie “Teorie critiche” (della razza, del genere etc.).
Ora, come minimo, ci aspettiamo che chi si inginocchiò alla Camera ora lo faccia anche per Iryna. Scampata alla guerra ma non a un odio razzista che sembra non trovare quell’indignazione che altri gesti, infinitamente meno gravi, scatenano fra i benpensanti.