Marco Giorgetti: “Sosteniamo una Nuova Alleanza dei Teatri Europei”

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Foto Filippo Manzini

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Parla il Direttore del Teatro della Toscana, dalla riforma del FUS fino alla sinergia con il Théâtre de la Ville di Parigi

Direttore, dal 2011 è alla guida del Teatro della Pergola di Firenze, che con lei ha vissuto quella rifondazione che l’ha portato fino alla creazione del Teatro della Toscana: vuole fare un bilancio?

Camminiamo nel tempo, un tempo equamente diviso tra passato, presente e futuro, intersecandoci nei ritmi di stagioni teatrali tornate, stabilmente, a riempire il cartellone nel periodo che va dall’autunno alla primavera. Il passato racconta nei modi, nei fatti e nelle traiettorie, lo stato di salute del Teatro della Pergola e di tutta la Fondazione Teatro della Toscana, che si traduce nell’efficacia rappresentativa dei numeri per ogni spazio che gestiamo ma anche, e soprattutto, nella qualità dei rapporti con il tessuto sociale in cui operiamo. Il pubblico è cresciuto sempre in questi anni, così come il contributo e dunque il riconoscimento del Ministero. Abbiamo creato ponti tra le discipline, i Paesi e le generazioni, in relazione con tutte le arti, la poesia, il potere dell’immaginazione, tenendo come riferimento il lascito pedagogico e culturale di Orazio Costa, che nel 1979 ha fondato proprio alla Pergola il suo Centro di Avviamento all’Espressione. Di stagione in stagione abbiamo confermato la nostra volontà di operare sui principi di un Teatro d’Arte orientato ai giovani, con un’attenzione costante all’Europa, avendo nella lingua Italiana la materia prima del nostro agire.

Il palco della Pergola è considerato oramai la casa del grande teatro italiano: quale artista ha lasciato o sta lasciando più di altri il segno?

Ci sono i grandi attori di una “tradizione vivente”, come ad esempio Glauco Mauri, Roberto Sturno, Gabriele Lavia, artisti non solo di indiscutibile bravura, ma veri e propri testimoni di quella poesia e creatività del “fare teatro” che vogliamo trasmettere ai giovani diplomati delle nostre scuole, a oggi più di 60 tra ragazze e ragazzi provenienti da tutta Italia. Hanno lasciato e lasciano il segno poi il nostro direttore artistico, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, che con la Scuola l’Oltrarno realizza un’attività di formazione attoriale che si estende a esperienze e metodi innovativi. E ancora Fabrizio Gifuni, Alessio Boni, Sergio Rubini, Elio Germano, Vinicio Marchioni, che nella scorsa stagione ha portato con Sonia Bergamasco un magistrale Chi ha paura di Virginia Woolf? e che nella prossima stagione lavorerà con i nostri giovani attori su Caligola di Albert Camus. Sono soltanto alcuni, non li posso nominare tutti, posso però sottolineare che tutti gli artisti nelle stagioni della Pergola non sono solo presenti nel nostro cartellone, ma condividono il nostro progetto che ha al centro il magistero dell’attore.

La sua direzione mostra sempre maggior interesse anche per i giovani e le scuole?

I giovani sono il nostro futuro e quindi su di loro stiamo investendo tutto, non solo per portarli a teatro, ma anche per avviarli ai lavori della scena, perché il lavoro è un elemento fondamentale della nostra società, che deve sempre di più coinvolgere le nuove generazioni. Accanto alla tradizionale offerta di spettacoli e alle attività didattiche dietro le quinte, realizziamo percorsi e progetti sulle professionalità dello spettacolo, con l’ambizioso obiettivo di crescere non solo gli spettatori del futuro, ma soprattutto i protagonisti del presente. Siamo poi convinti che la scuola sia il fondamento della nostra società: se non esistesse la scuola noi non avremmo una cultura, non avremmo una riconoscibilità, un fondamento su cui la nostra vita civile si sviluppa. Sul fronte dei soli numeri, basti pensare che nella passata stagione abbiamo consegnato 1.200 TT Young Card (membership card riservata agli under 30). Questo dimostra il sostegno alla nostra programmazione da parte dei giovani.

E poi c’è quel filo che arriva fino a Parigi…

Lavoriamo con il Théâtre de la Ville di Parigi con il suo formidabile direttore Emmanuel Demarcy-Mota a un approccio collaborativo da cinque anni, compreso il periodo della presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea, sostenendo una Nuova Alleanza dei Teatri Europei destinata a costruire, inventare e sfidare, utilizzando la forza della cultura e delle arti, un territorio comune, umano, per inserirsi pienamente nel XXI secolo e abbracciare tutte le generazioni. La visione progettuale si fonda su valori condivisi sanciti nella Carta 18-XXI, a partire dai quali creare nuove forme di collaborazione tra istituzioni culturali, unendo le scienze, le arti, la cultura e l’istruzione. Siamo stati il primo teatro internazionale a impegnarsi nel progetto delle Consultazioni poetiche, a maggio 2020, e a oggi fanno parte della Troupe de l’Imaginaire dieci artisti italiani tra più di 250 artisti di 28 nazionalità, che in 18 paesi nel mondo hanno realizzato oltre 30.000 consultazioni. Abbiamo avviato il progetto L’Attrice e l’Attore Europei, che nasce nell’ottica di una rinnovata Europa della Cultura, per formare un giovane “attore aumentato”, un attore  engagé, che impegni e si impegni in campo artistico e sociale anche su questioni sanitarie e scientifiche, e che ha portato a Firenze e in Romania uno spettacolo come Ionesco Suite.

Lo spettacolo di queste stagioni che l’ha emozionata di più quale è stato?

Quando si parla di emozione teatrale non possono non tornare indietro al momento della prima sconvolgente emozione che ho provato nella mia vita e che mi ha portato a decidere di fare il teatro come mestiere, per la sofferenza dei miei genitori. Parlo della Classe morta di Kantor. È il fulcro di tutte le emozioni che provo in teatro e ogni volta che mi capita di emozionarmi ritrovo un’eco di quell’emozione originaria, dove c’era veramente tutto, il riso e il pianto. In Ionesco Suite, diretto da Emmanuel Demarcy-Mota, ho ritrovato la stessa emozione, in questo incredibile mosaico di frammenti dell’assurdo di Eugène Ionesco, con i nostri giovani attori entrati nel cast come primo esito del progetto L’Attrice e l’Attore Europei. Un’altra grande emozione l’ho provata con La dodicesima notte di Shakespeare, una versione eccezionale diretta da Pier Paolo Pacini con altri nostri giovani attori, che sicuramente riprenderemo nel prossimo futuro. Sono solo due esempi, ma le emozioni nei nostri teatri sono costanti, quotidiane: tutti gli spettacoli in cartellone hanno la forza del pianto e del riso.

Da teatrante a teatrante: è d’accordo sulla tanto agognata riforma del FUS?

Sono favorevole a qualsiasi riforma del FUS che riporti in campo la premialità per quei teatri che mettono al centro l’attore e i mestieri del teatro, che ripartono da chi questo mestiere lo fa in ogni settore del teatro, perché tutti i professionisti come i grandi artisti vanno salvaguardati, vanno tutelati. Sono d’accordo con ogni riforma che superi le tecnicalità degli algoritmi e consegni discrezionalità e responsabilità di scelta a un gruppo di saggi veri. Sono d’accordo con qualsiasi riforma che non premi più la stabilità storica, la storicità, perché troppo spesso storicità significa immobilità, mentre il teatro è prima di tutto sviluppo, mutamento. Perché il teatro sia vivo devi cercare continuamente, devi rischiare davvero continuamente, senza rete.

Ha pronto un piano industriale per rilanciare ancora più il Teatro della Toscana come esempio virtuoso non solo regionale ma nazionale ed internazionale.

Ho pronto un piano industriale che sottoporrò al Consiglio d’amministrazione e ai Soci alla fine di agosto, dopo alcune revisioni che abbiamo discusso all’interno dell’attuale assetto societario, per meglio mettere a fuoco le indicazioni che il Ministero ci ha dato con le ultime assegnazioni. Questo piano industriale parla di sviluppo, sviluppo del lavoro e sviluppo della ricerca, su di un percorso che realizza la visione del Teatro della Toscana e del suo modo di fare teatro, per fare un passo definitivo verso la sua affermazione come Centro Internazionale di Cultura Teatrale. Mi riferisco alla nostra volontà di innalzare ancora di più il livello non solo quantitativo, ma soprattutto qualitativo che viene riconosciuto dal Ministero alla nostra attività nel suo complesso.

Un’ultima domanda: qual è la sua città identitaria e che importanza ha il territorio per il teatro italiano?

La mia città identitaria è un piccolo borgo medievale abbastanza famoso, San Gimignano, dove è nata tutta la mia famiglia. Pur se “invaso” dal turismo, riesce a mantenere ancora la sua identità di luogo toscano e italiano fatto di e per la cultura. Il territorio per il teatro italiano è tutto, nel senso che quando un teatrante non lavora con lo sguardo costantemente rivolto alla terra in cui realizza il suo lavoro, non ha né un punto di partenza, né un punto di arrivo, non ha un luogo, insomma, una casa in cui sviluppare la sua ricerca. Questo è una perdita di punti di riferimento deleteria per chiunque faccia questo mestiere.

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