Il disastro naturale è definito come un costrutto sociale e non come un evento immutabile e fisso; la catastrofe è la conseguenza di un’interazione fra natura e intervento umano: esempio sono i terremoti, definiti come unnatural disasters perché la misura della catastrofe in termini di vittime e devastazioni è prodotta dall’intervento umano e dalla scarsa prevenzione. I terremoti sono quindi esperienze sociali e agenti di cambiamento, dei veri e propri punti di svolta nella vita pubblica e privata, come scrivono Olson e Gawronski, sono un taglio nella società che ne rivela politica, economia e salute sociale. Il terremoto dell’8 settembre 1905 fu uno dei più devastanti che abbiano mai colpito la Calabria, non solo per l’elevato numero di vittime, ma soprattutto per le conseguenze a lungo termine sull’economia e sul tessuto sociale della regione.
La scossa causò la morte di 557 persone e lasciò senza casa ben 300.000 individui: più della metà delle abitazioni danneggiate dovette essere successivamente demolita; molti contadini, non riuscendo a trovare una sistemazione dignitosa, furono costretti ad emigrare. La scossa principale avvenne alle 2:43 della notte tra il 7 e l’8 settembre con epicentro nella provincia di Vibo Valentia e fu avvertita in tutta l’Italia meridionale e persino a Valona in Albania. I movimenti tellurici, molto numerosi, continuarono per circa due anni, con quasi 400 scosse in totale, di cui 100 nei tre mesi successivi alla principale. I 40 secondi dell’evento, per come raccontano le cronache del tempo, furono preceduti da un rombo simile a un tuono e accompagnati da un rumore sordo e vari fenomeni luminosi, come lampi e bagliori.
Il terremoto provocò variazioni nella portata e nella temperatura di corsi d’acqua e sorgenti in quasi tutta la Calabria, spesso causando l’intorbidamento delle acque; le acque termali mostrarono aumenti significativi di portata e temperatura, in particolare a Sambiase e in alcune aree, come nei dintorni di Rosarno (RC) e Feroleto Antico (CZ), si formarono nuove sorgenti, mentre a San Sisto dei Valdesi (CS), nella Valle del Drago, si verificò un’eruzione di fango. Nella zona più vicina all’epicentro, il sisma innescò estesi movimenti franosi, soprattutto tra il Monte Poro e il Golfo di Sant’Eufemia, dove si osservarono anche fessurazioni del terreno. La scossa fu seguita da un maremoto che innalzò il livello del mare di 1,3 metri, sommergendo la costa da Vibo Marina a Tropea e l’intero litorale di Scalea. Dopo la prima onda, il mare si ritirò, accompagnato dall’intorbidamento dell’acqua. Nel Tirreno, l’ondata raggiunse la costa settentrionale della Sicilia e le isole Eolie, spezzando il cavo telegrafico che collegava Lipari a Milazzo.
Nella provincia di Cosenza il terremotò devastò 77 comuni, tra questi spiccava Castrolibero; gran parte del paese fu distrutta – 82 case nei rioni Santa Maria e San Giovanni presentavano ingenti danni, danneggiate erano anche le chiese di Santa Maria e del Santissimo Salvatore e la statua della Madonna della Stella – e si piangevano 7 vittime: Teresa Parise, Michele Andrieri, Michele, Chiara ed Eugenio Costabile, Concetta Andrieri e Carmine Filippelli, altri 10 abitanti rimasero feriti. Gran parte delle famiglie abbandonarono le case, pericolanti, e si sistemarono nei campi che circondavano il paese in tende improvvisate con lenzuola o rami di albero.
La principale causa della devastazione del terremoto del 1905 è da rintracciarsi nella scarsa qualità degli edifici: prima del terremoto la Calabria aveva un’economia povera basata sull’agricoltura tradizionale e le costruzioni riflettevano questa condizione con case erette con materiali inadeguati e tecniche primitive. Nei piccoli paesi, si utilizzavano ciottoli e fango, i mattoni venivano essiccati al sole invece che cotti, e il cemento era di scarsa qualità, a ciò si aggiungeva che la stabilità degli edifici era già compromessa da precedenti terremoti. La prova che una migliore qualità costruttiva avrebbe ridotto i danni sta nel fatto che le case dei cittadini più abbienti, spesso emigranti di rientro dall’America, rimasero in gran parte intatte. Nei giorni successivi a Castrolibero, in rappresentanza del re Vittorio Emanuele III, giunse il ministro dei Lavori Carlo Francesco Ferraris che restò sbigottito davanti alla distruzione che aveva colpito il paese.
Le scosse proseguirono per qualche mese, ma lo scorrere della vita riprese resiliente: il 4 marzo 1906 fu inaugurata la Cassa Rurale di Castrolibero fondata su iniziativa di circa venti soci; durante la cerimonia di inaugurazione Don Carlo de Cardona, uno dei membri, chiese ai contadini del paese di rimboccarsi le maniche e di prendere in mano le redini del risorgimento calabrese. A dare impulso alla ricostruzione è il duca Nicola Spiriti, uomo ben addentrato nella politica del Meridione, che mediò con il neonato Comitato Napoletano Pro Calabria, fondato a Napoli nel mese di settembre del 1905 e presieduto dal sindaco Ferdinando Del Carretto; il comitato si impegnò a programmare la ricostruzione di Castrolibero, Torzano, Castiglione Marittimo (oggi frazione del comune di Falerna) e Marano Marchesato: referente del progetto era l’ingegnere e ufficiale del Corpo dei Pompieri.
Il 1° dicembre 1907 con una solenne cerimonie alla presenza del sindaco Del Carretto, dell’ingegnere Dragotti, di altri membri del comitato e dei cronisti di giornali come “Il Mattino”, “Il Roma” e “Il Giorno” sono inaugurate le nuove abitazione nel paese di Castrolibero.
La ricostruzione storica della catastrofe è la ricostruzione di un evento e insieme di un processo sociale di trasformazione, che ha bisogno di confrontarsi con l’esperienza viva dei soggetti e riportarne la memoria. È, di conseguenza, interessante indagare come le comunità hanno reagito di fronte al rischio, come hanno affrontato il disastro e quali categorie interpretative hanno utilizzato per superarlo. Diventa cruciale fare emergere una memoria dal basso, solo così è possibile contrastare l’oblio: in questo caso è fondamentale l’approccio etnografico per portare alla luce i fenomeni che avvengono nel microcosmo sociale colpito dalla catastrofe e per affrontarne la natura multidimensionale. Nelle celebrazioni annuali che si tengono a Castrolibero in memoria del terremoto e in onore della Madonna della Stella, la cui statua è stata restaurata da Michele Greco, il Mastru Rafele assume un ruolo centrale come simbolo di un rito di passaggio collettivo, rappresentando la necessità di esorcizzare il doloroso ricordo del terremoto e allontanare il trauma che esso ha causato.
Questo pupazzo antropomorfo, creato con una struttura di canne ricoperta di cartapesta dallo stesso Michele Greco, è decorato con le fattezze di personaggi del paese, del cinema, dell’attualità e della storia, rendendolo una figura ricca di significato e simbolismo per la comunità. Il Mastru Rafele viene portato in processione per le strade del paese, un gesto che permette a ogni angolo della comunità di partecipare al rito di esorcismo collettivo. Durante questa processione, il pupazzo diventa un veicolo per trasferire e condividere il dolore e la memoria del terremoto, rafforzando il legame tra i membri della comunità e offrendo un’opportunità per elaborare, anche a distanza di anni, il lutto collettivo. Il momento culminante della celebrazione arriva alle 2:40, ora approssimativa della scossa di terremoto: in questo preciso istante, il Mastru Rafele viene bruciato in un grande falò. Questo atto simbolico rappresenta la purificazione e la rinascita, un modo per lasciare andare il passato e affrontare il futuro con rinnovata speranza. Il fuoco, elemento di distruzione e rigenerazione, consente alla comunità di trasformare il trauma in un atto di forza e resilienza.
Il fuoco, elemento centrale in molte tradizioni popolari del Sud Italia, assume qui un significato catartico, una funzione apotropaica, con lo scopo di allontanare il male e le influenze negative. Nella tradizione popolare, il fuoco è spesso associato a riti di passaggio, dove la combustione rappresenta la fine di un ciclo e l’inizio di un nuovo capitolo: bruciare il pupazzo significa distruggere simbolicamente il dolore e la paura, permettendo alla comunità di rinnovarsi e guardare avanti. Questa pratica non è limitata a Castrolibero, ma fa parte di un più ampio patrimonio culturale del Meridione, dove i pupazzi antropomorfi vengono spesso utilizzati per rappresentare e combattere simbolicamente le forze negative.
Durante le celebrazioni il falò diventa un rituale collettivo in cui la comunità si riunisce attorno alle fiamme: il calore e la luce del fuoco non solo illuminano la notte, ma anche i cuori dei partecipanti, offrendo un momento di riflessione e di comunione. Questo è particolarmente rilevante nel contesto del terremoto del 1905, dove la distruzione e la rinascita sono temi centrali: la cerimonia del Mastru Rafele non solo onora il passato, ma mira a costruire un senso di unità e continuità all’interno del paese. Ogni anno, la comunità si riunisce rinnovando il proprio impegno a superare il dolore e a ricordare coloro che hanno sofferto, il tutto mantenendo vivo il ricordo del terremoto, trasformando la sofferenza in una forza che unisce e fortifica.
(Luigi Cristiano è PhD dell’Università della Calabria (Rende, CS) e dell’Université Paul-Valéry Montpellier 3 – UPVM, Montpellier, FRA)