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La famiglia italiana è in crisi, l’Italia è in crisi: famiglie sempre più piccole, divise, senza figli. Dal 2013 ad oggi l’Italia fa registrare ogni anno un nuovo record negativo delle nascite: il saldo naturale, già negativo, arriva a – 215 mila nel 2019 e le nuove nascite a poco più di 420 mila, nuovo minimo storico dal 1918. Da leggere in correlazione con quello relativo all’aumento costante dell’età media in cui una donna diventa madre, passata dai 31 anni e mezzo nel 2014 ai 31,9 nel 2018. Nel 2019 l’età media al momento del parto ha toccato i 32,1 anni. Venti anni prima, nel 1998, l’età media era di 30,2 anni. In aumento i casi di prima maternità per donne che hanno superato i 40 anni: le ultraquarantenni italiane fanno più figli di quanti ne facciano le donne sotto i venti anni.
La famiglia e’ in crisi e l’Italia rischia quindi di scivolare nel buio demografico: meno figli ieri, meno madri oggi e quindi ancor meno figli domani. Segno evidente di un profondo cambiamento dei costumi e della composizione delle famiglie italiane, e del profondo senso di insicurezza verso il futuro, dovuto alle note difficoltà di accesso al mondo del lavoro, alla sua crescente precarizzazione, e dunque alle maggiori difficoltà nel sostenere la crescita dei figli. E soprattutto dovuto alla costante cultura dominante che ha contribuito a demolire le basi culturali della famiglia, a sovvertirne le radici.
La famiglia moderna oggi appare indebolita, fluida, decentrata, incerta, relativa e infantile; è la famiglia del genitore 1 e genitore 2.
Certo molto diversa dalla famiglia tradizionale nella quale siamo nati, cresciuti e siamo stati educati, la grande famiglia verticale dai ruoli chiari e forti, la grande alleanza generazionale, con i nonni ed i genitori stabilmente presenti, dove fratelli e cugini spesso lavoravano insieme prima nell’Italia contadina poi in quella artigiana ed industriale.
La crisi della famiglia ha determinato e determina la crisi delle prime figure educative di riferimento, e la progressiva riduzione del fondamentale ruolo di regolatore delle misure, ovvero del genitore. Tra le figure della famiglia tradizionale, quella del padre è stata forse la più analizzata – si pensi alle opere di Freud, Kafka, Lacan – in particolare nel suo processo definito di evaporazione, ovvero di progressiva scomparsa dell’autorità paterna.
L’idea dell’evaporazione del padre, che ha le sue radici teoriche nell’opera di Freud, partendo dal noto conflitto di Edipo si basa sul concetto della funzione regolatoria del padre, e dunque sulla sua capacità di imporre dei limiti alla soddisfazione dei desideri; i desideri però sono alla base dello sviluppo della società dei consumi e non devono avere dei limiti, anzi vanno costantemente creati e soddisfatti, anche ricorrendo ai debiti.
E così nella moderna famiglia infantile l’unico centro di gravità è costituito dai figli, attorno ai quali ruotano, con più o meno successo, diverse figure adulte che contribuiscono, nel migliore dei casi, alla loro crescita; oppure abdicano alla loro funzione educativa, delegandola ad altre istituzioni, generalmente la scuola e lo sport, a loro volta in crisi; oppure usano il telecomando. Oggi al centro della famiglia impera l’immagine sociale, pompata da televisione e new media. Inoltre l’identificazione sociale non è più con il tipo di lavoro e lo stile di vita del padre, ma più spesso con modelli indotti proprio dalle pubblicità televisive, incidendo così sul modello d’autostima paterno; in più l’alienazione diffusa ed il conseguente bisogno di tempo libero hanno diviso la famiglia in tante attività disgreganti, e quindi, per stanchezza e per debolezza, la sera parla solo la televisione, più o meno cattiva maestra.
La famiglia infantile moderna appare lontanissima dal vissuto di intere generazioni di italiani e di europei, pervase dallo spirito dei padri e delle madri, che solo con amore, senza doppi fini o funzioni giuridiche, in assoluta naturalezza, hanno cresciuto il mondo.
La crisi della figura paterna rispecchia la crisi generale del sistema sociale: e forse proprio da questo si può e si deve partire, dalla certezza che la crisi sia la normale condizione di vita e che la funzione paterna sia proprio quella di insegnare non la specializzazione o l’apparenza, ma l’arte iniziatica della sopravvivenza in un sistema in perenne cambiamento.
L’atteggiamento del padre può in questo svolgere una funzione esemplificativa e di lenta e graduale emancipazione, quando il bambino è troppo protetto a casa o l’adolescente assorbito dalle playstation, aiutando i figli ad affrontare l’insicurezza di fronte agli altri ed al mondo, per acquisire senso del sé e del limite. E forse ricreare quelle condizioni di stabilità emotiva necessarie a rilanciare il ruolo della famiglia.
Il padre può e deve con i figli passare al bosco, navigare, andare per paesi stranieri e ascoltare lingue sconosciute, costruire tavoli e sedie.
Insegnare ad osare, a gestire l’ insicurezza, che è salutare per la vita come l’incertezza lo è per la ricerca. Questo perché – come rileva Erich Fromm – « la nostra cultura tende a creare individui che non hanno più coraggio e non osano più vivere in modo eccitante ed intenso. Veniamo educati ad aspirare alla sicurezza, come unico scopo della vita. Ma possiamo ottenerla solo al prezzo di un completo conformismo, e di un’improduttiva apatia. Da questo punto di vista la sicurezza è l’opposto della gioia, poiché la gioia nasce da una vita vissuta intensamente » .
La figura del padre è sopravvissuta, anche se con difficoltà, a guerre, esplorazioni, commerci, consumismi , analisi psicanalitiche, new media: sopravviverà anche all’alienante teoria del genitore 1 e 2, alla cancel culture di ogni tradizione.
Semplicemente perché è così che va il mondo, perché è nello spirito delle cose, perché lo vogliono i figli.
















