Con l’arte di Azzurra Barbuto torniamo ad abbracciarci

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L’abbiamo vista lo scorso dicembre in occasione della sua mostra sulle colline che si affacciano sul lago di Como, dove ha esposto 30 quadri accomunati dal fil rouge del desiderio costante dell’altro: abbracci, baci e carezze, gesti e sentimenti che dall’inizio dell’era pandemica hanno assunto lo status ahinoi di eventi straordinari (e oggi non va meglio di ieri).

Lei è Azzurra Barbuto (Reggio Calabria, 1983; vive e lavora a Milano) e la sua arte ha l’incisività e prontezza d’esecuzione del giornalismo, dal momento che proprio la scrittura è, insieme alla pittura, una forma d’espressione che le appartiene intrinsecamente, concretizzatasi anche in un romanzo e un saggio (e il terzo libro è in arrivo). Ma l’arte visiva, essendo un alfabeto fatto di simboli che abbattono i limiti della parola, conosce in lei un potenziamento rispetto al verbo, arrivando là dove la favella difetta.

Le opere di Azzurra Barbuto sono tutte acrilici su tela, caratterizzate quindi da tempi di asciugatura rapidi (un po’ come i tempi di cottura dei pezzi nel giornalismo) e brillanti campiture di colore: i suoi quadri hanno una composizione sintetica, arrivano subito, non hanno bisogno di mediazione, non nascondono messaggi da interpretare e parlano un linguaggio che ci riguarda tutti, soprattutto oggi, quando il mondo sembra andare alla deriva: se il famigerato distanziamento sociale, che ora ci fa sembrare del tutto naturale evitare non dico i baci ma anche gli sfioramenti di mano, ci ha resi tutti inaspettatamente diffidenti (e non è che prima le relazioni interpersonali fossero tutte animaletti e fiorellini), ora ci si è messa pure la guerra a incattivire il mondo e conculcare qualsiasi nostro anelito, naturale e normale, al Bene e all’Amore (e dal macro al micro non è che nelle città sia meglio, fra teppismo e delinquenza che mancano poco a somigliare a New York negli anni ’80, ma lì almeno facevano i graffiti).

I soggetti delle opere di Azzurra Barbuto sono sintetici ed efficaci, raffigurano due persone, un uomo e una donna, nudi cioè spontanei, colti nell’attimo (che ora è diventato fuggente) dell’abbraccio, del bacio, della carezza: si guardano, si cercano e si trovano e ogni volta rappresentano quell’unità inscindibile che parla la lirica universale del Bene e dell’Amore, parole che una volta ci sembravano pasticcini da catechismo e che oggi sembrano esser diventate rare e preziose come le materie prime, forse perché una volta eravamo felici ma non lo sapevamo.

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