Che a certi salotti culturali abbiano in odio la storia è cosa nota. L’attacco su più colonne che in questi giorni viene da alcuni programmi televisivi al finanziamento pubblico del settore della rievocazione storica è la confessione firmata che l’odio per la storia e l’identità nazionale è parte del DNA di ben noti settori politici.
“A DiMartedì abbiamo assistito ad un processo di stampo sovietico in contumacia contro gli esponenti della maggioranza, il sottoscritto e i rappresentanti delle associazioni di rievocazione storica – ha dichiarato il presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone a proposito della trasmissione dell’11 novembre del programma “DiMartedì”, condotto da Giovanni Floris, su La7. “Il conduttore ha dimostrato un’arroganza, un razzismo culturale e un’ignoranza nel merito” ha concluso Mollicone. La trasmissione ha attaccato i recenti stanziamenti a favore del settore della rievocazione storica, accomunando le attività di living history alle baracconate come i “gladiatori” acchiappa-turisti che operano abusivamente al centro di Roma. “È grave, è non sapere, o fingere di non sapere, che i gladiatori davanti al Colosseo sono abusivi, rappresentano un fenomeno criminogeno e, di certo, non prendono neanche un centesimo dal Governo” ha spiegato Mollicone in una nota.
L’accostamento fra le attività di rievocazione storica e questo sottobosco di folklore è una delle trovate da “montaggio analogico” con le quali si sta cercando di attaccare contemporaneamente la maggioranza e il settore della rievocazione. Non dissimile, infatti, il metodo usato nell’ultima puntata di “Report”, con il girato delle associazioni storiche sottolineato da canzoni ridicole e pecorecce, in contrasto al peana cantato al “teatro contemporaneo queer” di Santarcangelo di Romagna, roba ultra-radical chic degna di “Vacanze intelligenti” con Alberto Sordi, ma presentata con l’abilità del super-chef che ti serve una cucchiaiata insipida con guarnizione in stile Pollock (tout se tient) e ciuffetto di cerfoglio. Vuoi mettere?
La rievocazione storica, al contrario, in un paese come l’Italia, così straboccante di storia, ha una funzione fondamentale. Sono rievocazioni i palii e le giostre che ogni anno ricordano agli italiani chi sono, da dove vengono, qual è la loro identità. Sono rievocazioni le manifestazioni di living history o ancora meglio di “storia sperimentale”, nella quale tanti appassionati, spesso amatori che viaggiano in perdita per pura passione, regalano al pubblico lezioni sul passato che possono guardare dall’alto in basso parecchie cattedre universitarie. In molti casi sono proprio i rievocatori, con la loro dedizione, a risolvere enigmi storici, come per esempio le tecniche impiegate nel passato (si pensi al mistero del gancio sulle armature dei pretoriani romani della Colonna Traiana: la sua funzione è stata scoperta da rievocatori storici riproducendo le loriche, indossandole durante giochi di simulazione e realizzando – in corpore vivi! – che quella strana appendice doveva impedire ai finimenti di cuoio di finire sul collo provocando escoriazioni e vesciche al povero legionario in marcia…).
L’Italia ha più storia di qualunque altra nazione del pianeta: dai popoli preromani ai Quiriti, dall’impressionante ricchezza del nostro Medioevo (altro che “età buia”!) allo splendore delle corti rinascimentali, dal Barocco all’età napoleonica (si pensi solo al Carnevale di Frosinone, di cui recentemente CulturaIdentità ha parlato, legato proprio alla memoria dell’invasione francese della città ciociara) al Risorgimento (coi suoi vinti e i suoi vincitori), fino al Novecento, secolo delle guerre mondiali. Valorizzare questo sterminato patrimonio va dai palii e i carnevali storici, come detto, alle manifestazioni ufficiali delle Forze Armate in uniforme storica, dagli “accampamenti” con le lezioni dei rievocatori e le spettacolari ricostruzioni delle battaglie (settore contro il quale si è scagliata la solita UE, con le limitazioni alle armi da fuoco storiche) ai mercatini dove artigiani di primissima qualità ricostruiscono con maniacale precisione stoffe, gioielli, utensili, armi e oggetti quotidiani del passato per una clientela curiosa e attenta.
L’attacco a chi pratica queste attività e a chi – finalmente! – le finanzia è un attacco all’identità stessa degli italiani. Ci sono tante matrici. Innanzitutto il livore di chi pensa che la cultura sia “cosa nostra” e non accetta che altri possano avere diverse scale di priorità. C’è poi un consapevole disegno di distruzione dell’identità nazionale, per sostituirla con la post-contemporaneità fluida, a-identitaria e “decostruita”, un tempo perseguito nell’ombra e ora invece apertamente dichiarato, come le uscite di certi candidati alle scorse regionali in Toscana hanno dimostrato.
Se Dio vuole, questo è ancora un paese democratico: lasciamo che sia il popolo a decidere se preferisce vedere una sfilata storica oppure dei guitti che saltellano epilettici per “decostruire” e “questionare l’eteronormatività patriarcale”. E soprattutto lasciamo che il popolo possa decidere come i soldi pagati con le tasse debbano essere impiegati, se per sostenere chi difende e ricorda il passato collettivo o per chi vuol fare tabula rasa e proporre la sua distopica agenda politica. Il libero mercato delle idee è anche questo.


















