Lucio Caracciolo: “La caduta del Muro colse tutti di sorpresa”

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Il 9 novembre è stato dichiarato Giorno della Libertà, nella data che ricorda la caduta del Muro di Berlino, 35 anni fa. Oggi, al Teatro Filodrammatici di Milano si incontrano tanti ospiti in un evento organizzato dal gruppo europeo ECR: da Carlo Fidanza a Nicola Procaccini, da Francesco Maria del Vigo a Stefano Zecchi, dal direttore di CulturaIdentità Edoardo Sylos Labini a due prestigiosi Premi Sacharov, per culminare con l’intervista al presidente del Senato Ignazio La Russa. Un matinee per riflettere sul valore della libertà, oltre il pensiero unico e i nuovi totalitarismi del nostro tempo.

In questa occasione CulturaIdentità ripropone ai suoi lettori l’intervista al direttore di “Limes” Lucio Caracciolo sulla caduta del Muro di Berlino.

Per il direttore di Limes la fine della Guerra Fredda ha causato all’Italia la perdita della propria rendita di posizione geopolitica

Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la più famosa rivista italiana di geopolitica, quel 9 novembre di 35 anni fa se lo ricorda bene: “Ero a Roma. Partecipavo a una conferenza di due giorni dedicata al futuro della Germania, insieme ad accademici, giornalisti, esperti”.

Vi aspettavate che il Muro di Berlino crollasse da un momento all’altro?
Ricordo che quando giunse la notizia, in serata, e per tutto il giorno successivo, la valutazione generale di quanto accaduto fu che si trattava di una mossa geniale dei dirigenti della DDR per allentare le pressioni esterne e stabilizzare la situazione interna…”

Tutti colti di sorpresa insomma.
Completamente. La fine della Germania Est e la riunificazione tedesca furono un esito tutt’altro che scontato delle evoluzioni geopolitiche di quegli anni.

Come fu possibile allora?
In ragione di un accordo tra Helmut Kohl e George Bush, al quale poi aderì anche Michail Gorbaciov, ai danni della DDR. Gli alleati europei occidentali non ricevettero alcuna compensazione per la riunificazione tedesca, salvo i famosi cinque miliardi di marchi promessi da Kohl alla CEE.

Tutto si svolse molto velocemente…
Col senno di poi, c’era poco da fare: la Repubblica Democratica andava disfacendosi e aveva ormai perso l’appoggio dell’Unione Sovietica, che di fatto era il puntello della sua legittimità internazionale. Kohl, invece, aveva fretta di concludere…

Perché?
Per due ragioni. La prima di politica interna: l’anno dopo in Germania Ovest erano in programma le elezioni e andare al voto con in tasca lo storico risultato di aver riunificato le due Germanie indubbiamente gli faceva gioco. L’altra, invece, era legata alla tenuta di Gorbaciov, la cui posizione si faceva ogni giorno più debole, mentre montava la preoccupazione che prima o poi i suoi avversari interni avrebbero dato vita a un golpe, come poi effettivamente avvenne.

Proprio il comportamento di Gorbaciov, in quelle settimane, risulta incomprensibile.
Indubbiamente lui e la sua Perestrojka sono i grandi sconfitti di quella stagione. La verità è che non sempre le ciambelle riescono col buco.

Cioè?
Gorbaciov fu vittima di sé stesso: sperava di salvare l’Unione Sovietica e invece ne decretò il crollo. La sua posizione era politicamente “stupida”: lui pensava che, sbarazzandosi dell’”impero esterno”, divenuto inutile, se non addirittura un peso per Mosca, avrebbe preservato l’URSS. Così facendo, però, la stessa Unione Sovietica perdeva legittimità e potenziale strategico e non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche ideologico.

La Perestrojka non era un’alternativa sufficiente?
Il Capo del Cremlino aveva provato a lanciare il cosiddetto “Nuovo Pensiero”, che di fatto era un “non pensiero”, secondo cui l’URSS poteva essere accettata a livello internazionale in nome della pace e della civiltà. Insomma parliamo del niente…

Andreotti invece disse che amava a tal punto la Germania da preferirne due…
In verità questa frase la pronunciò nel 1984 a una Festa dell’Unità di cui era ospite, ma non è sua, bensì di uno scrittore francese, François Mauriac. Andreotti aveva ragione in quanto la riunificazione tedesca metteva in crisi gli equilibri europei determinatisi con la Guerra Fredda, che erano molto vantaggiosi per l’Italia: ci garantivano stabilità, benessere, sicurezza, grazie alla rendita di posizione geopolitica che ci assicurava un mondo diviso in due blocchi. Non a caso caduta l’URSS, ebbe termine anche la Prima Repubblica.

Tra le tante conseguenze dovute alla Caduta del Muro possiamo annoverare anche la nascita di Limes?
Più o meno. Noi in realtà nascemmo nel 1993, ma sicuramente quella fase di grandi sconvolgimenti rese possibile la rivista e il ritorno della geopolitica come scienza nel nostro paese. Negli anni Ottanta avremmo chiuso dopo il primo numero.

Come giudica le famose tesi opposte di Francis Fukuyama e Samuel P. Huntington?
Non amo le teorie generali dell’universo. Offrono spunti, non spiegazioni. Non esistono leggi nella Storia e la Geopolitica si muove nello Tempo e nello Spazio, non nelle astrazioni. Il libro di Fukuyama è meglio del titolo (La fine della Storia n.d.r.): esprime lo spirito del tempo e il modo di pensare il mondo negli USA in quel periodo: “abbiamo vinto, godiamoci il risultato”. Quanto a Huntington, “lo scontro di civiltà” è una classica tesi che può essere smentita in qualunque momento. Cosa sono davvero le civiltà? E’ una teoria inutile.

A distanza di 35 anni la Germania ha davvero vinto la sua battaglia volta al recupero dei leader dell’Est, come sostenuto da tanti osservatori, che sottolineano l’incapacità italiana di risolvere la secolare Questione meridionale?
Questo è un modo di ragionare tipicamente italiano, secondo cui tutto si riduce all’economia. Ci sono altri fattori importanti. Oggi assistiamo a un rilancio dell’identità tedesco orientale, come dimostrano i successi da quelle parti di Alternative fur Deutschland. C’è un tentativo di rivisitare la storia della DDR, intendendola non più come un mero stato satellite di Mosca, cosa che non fu, ma come il più autentico stato tedesco tra i due. Non va dimenticato che i tedeschi occidentali fondarono il loro Stato sull’esecrazione di sé stessi: c’erano delle buone ragioni, ma alla lunga questo approccio non può durare. Oggi ci troviamo di fronte al paradosso di assistere alla degermanizzazione della Bundesrepublik.

Tirando le somme?
La RFT fece un’operazione geopolitica di primo livello, annettendosi un’ampia fetta di territorio tedesco. Ma l’approccio nei confronti dell’Est è stato di tipo coloniale e ha provocato una reazione di rigetto, con un sentimento di esclusione, dovuto anche agli squilibri economici, ma soprattutto alla mancanza di rispetto dell’identità degli Osten.

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