Pierfilippo Capello: “Con la ripartenza dello sport torneremo un Paese normale”

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«Lo sport non è indispensabile, ma tra ciò che non è indispensabile io credo che sia l’industria più importante. Far ripartire lo sport sarebbe un messaggio di speranza e di progressivo ritorno alla normalità, per tutto il Paese». L’avvocato Pierfilippo Capello è molto chiaro nell’analizzare la situazione in cui versa l’intero movimento sportivo italiano, fermo da oltre due mesi a causa del coronavirus. Pierfilippo è figlio di Fabio Capello, mito del calcio italiano, già allenatore di Milan, Roma, Juventus, Real Madrid e delle nazionali inglese e russa.

Avvocato Capello, i campionati di calcio italiani potranno riprendere secondo lei?

«Dal punto di vista del mero diritto dello sport la risposta sarebbe “sì”. Le stesse UEFA e FIFA hanno emanato delle guidelines che vanno in questa direzione. Resta da vedere se e come il Governo deciderà di autorizzare la ripresa delle attività sportive agonistiche, ad oggi ancora sospese per l’effetto del DPCM del 26 aprile».

Come si conciliano la ripresa della serie A e delle coppe europee con gli interessi legati agli sponsor e ai diritti tv?

«In generale, possiamo dire che se la decisione di non riprendere il campionato fosse presa non dalla Serie A ma da un soggetto terzo, il Governo, la Lega potrebbe sostenere la causa di forza maggiore e chiedere alle televisioni l’adempimento dei contratti. Lo stesso vale per gli sponsor. Ricordiamo anche che la prassi, nonché le necessità di cassa, hanno portato molti dei club professionistici a farsi “scontare” dalle banche buona parte dei pagamenti futuri dovuti sia da TV sia da sponsor, e il mancato adempimento da parte di questi soggetti avrebbe effetti molto gravi sulla sostenibilità finanziaria dei club».

Il Covid-19 avrà ripercussioni sul valore dei calciatori? Ci saranno svalutazioni? C’è il rischio di speculazioni?

«Dipende: se consideriamo il valore di un calciatore pari al suo valore come asset a bilancio, questo valore non può subire variazioni, se non con un’operazione di svalutazione finanziaria che, personalmente, trovo molto complessa e anche poco ortodossa. Se un giocatore è stato pagato, per esempio, 10 milioni, quel giocatore avrà quel valore nel bilancio della società (con gli aggiustamenti dovuti agli ammortamenti). Viceversa, quello che cambierà sarà la effettiva possibilità di cedere quel particolare calciatore, asset al valore che avrebbe avuto anche solo sei mesi fa. Prevedo un mercato fatto in buona parte di prestiti: la stessa FIFA ha rimandato l’entrata in vigore della nuova regola che avrebbe dovuto limitare a 8 il numero di giocatori in prestito per ogni squadra».

I club più piccoli della serie A sono i più vulnerabili in questo momento. Cosa rischiano?

«Rischiano di non poter far fronte ai costi: molti club di Serie A – per non parlare della B o della tanto negletta C – sono vincolati da contratti pluriennali i cui valori erano stati determinati in una situazione finanziaria e industriale completamente diversa da quella attuale. Credo che i club riusciranno, anche se a fatica, a concludere la stagione in corso, ma il problema vero sarà quello della prossima stagione, quando verranno a mancare gli introiti di molti sponsor, che non investiranno più nella comunicazione».

Lo sport potrà riprendersi dopo questi mesi di lockdown?

«Lo sport è una delle prime industrie nazionali, sia per fatturato, sia per lavoratori impiegati, sia per l’indotto generato: si pensi solo a quante aziende, grandi ma anche medie e piccole, esistono sul territorio nazionale e producono abbigliamento, accessori, strumenti per lo sport. Questa industria, come tutte le altre, non potrà risollevarsi da sola ma ha necessità di un intervento statale. Temo però che si pensi a salvare il calcio di Serie A per “lavarsi la coscienza”, evitando un intervento che invece dovrebbe essere strutturale e impattante sull’intero settore».