“Falcone era un magistrato con la M maiuscola, non cercava popolarità”

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Dalla banda della Magliana a Corleone l’ex colonnello che lavorò fianco a fianco con Falcone si racconta

Una vita spesa per la ricerca della verità e la difesa della giustizia, contro qualsiasi forma di criminalità, in Italia ed all’estero. Angelo Jannone è autore di numerose indagini su Cosa Nostra, ‘ndrangheta, narcotraffico internazionale, riciclaggio e corruzione. Queste vicende sono raccontate senza enfasi, ma con molta umiltà e umanità, nel romanzo autobiografico Un’arma nel cuore, edito da Gambini Editore. A poca distanza dal 208° anniversario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, con le celebrazioni in tutta Italia il 6 giugno, abbiamo posto alcune domande al Colonnello Jannone, molto noto tra i carabinieri e la gente.

Dottor Jannone, Lei a soli 27 anni ha comandato la compagnia carabinieri a Corleone e ha condotto indagini insieme al simbolo per eccellenza dell’eroismo anti mafioso, Giovanni Falcone. Perché un giovane sceglie di impegnarsi nel contrasto alle mafie?

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, per noi giovani dell’epoca, era un esempio. Gli esempi ed i modelli sono importanti. Prima di Corleone ero a Roma, realtà altrettanto difficile con la banda della Magliana e le rapine, ma scalpitavo per andare in Sicilia. E l’Arma mi accontentò.

Ha condotto indagini anche a fianco di Giovanni Falcone. Cosa le ha dato in termini umani e professionali questo rapporto?

Giovanni Falcone era già per me un mito. Stare al suo fianco mi dato molto. Ma soprattutto mi ha fatto capire cosa significa essere Magistrati, con la M maiuscola. Il suo rispetto per le regole era raro ed esemplare. Lui non cercava popolarità.

Sa meglio di chiunque altro che la verità è spesso scomoda, come si evince dalla sua esperienza nell’Arma e come dirigente Telecom. A causa delle sue attività da dirigente in Sud America per Telecom Italia è stato accusato di controspionaggio e successivamente assolto da ogni accusa. É forse il prezzo che ha pagato per portare avanti la giustizia a ogni costo?

Da decenni nessuna mafia ammazza uomini dello Stato. Hanno compreso, mafie di ogni genere, che qualche schizzo di fango e qualche ferita all’onore possono essere molto più efficaci. Ed una Giustizia che si presta a ciò non rende un buon servizio alla sua stessa credibilità, perché l’opinione pubblica non distingue più chi è buono e chi è cattivo. La vicenda Telecom sarebbe tutta da riscrivere. Io servivo in una veste diversa una struttura strategica del Paese con lo stesso spirito con cui ho fatto il carabiniere e ho semplicemente fatto ciò per cui venivo pagato: difendere l’azienda da banditi, faccendieri e corrotti che la stavano depredando. Gli interessi in gioco erano di miliardi, cifre da far impallidire Cosa Nostra. Le invidie hanno fatto il resto. Ma la Procura di Milano aveva preferito credere a discutibili personaggi, piuttosto che studiare le carte del processo e quelle da me stesso messe a disposizione. E così ho dovuto subire l’onta di un lungo processo, conclusosi per me già nel primo grado: 7 anni. Mi dispiace che vi siano ancora oggi quotidiani, come la Nazione, che cercano di riproporre in maniera capziosa questa storia nel tentativo di infangare la mia immagine (“coinvolto in passato nello scandalo dei dossier Telecom”) e solo per chiari obiettivi politici. Ma tendo loro la mano. E’ il mio stile.

Un’arma nel cuore è una espressione che racconta il suo amore per la sua professione, ma è anche il titolo del suo recente romanzo autobiografico. Come e perché ha deciso di raccontarsi?

Un’arma nel cuore è un libro di ricordi ed è dedicato ai tanti collaboratori che ho avuto l’onore di avere alle dipendenza durante gli anni trascorsi nell’Arma. E’ il tentativo di descrivere lo spirito che animava i Carabinieri dal profondo sud al profondo nord, in un mondo che è la nostra storia recente ma che pare antico. Ed è una storia di criminali e di sbirri, di uomini veri e uomini falsi.

All’uscita di questo libro non ha temuto qualche ripercussione personale, per aver reso pubbliche vicende e indagini delicate, tra cui l’esperienza da infiltrato?

Ho sempre pensato che, trattandosi di storie pubbliche, nel senso che fanno riferimento a processi passati, non ci fosse alcun rischio. Ma di recente ho avuto qualche motivo per credere che non sia più così. Ma preferisco non parlarne.

In congedo come ufficiale, oggi è presidente di numerosi organismi di vigilanza, manager e consulente presso numerose società per le quali si occupa anche di cyber security. Come si può conciliare l’impulso all’innovazione digitale con valori portanti e anche tradizionali come quelli dell’Arma?

L’Arma è in questo un esempio: capacità di coniugare innovazione tecnologica con tradizione. E’ sempre stata la sua forza.

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