Caro il mio nichilista, la bellezza salverà il mondo

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Ad ogni angolo di strada si sente ormai pronunciare la fatidica frase che “la bellezza salverà il mondo”. È la nota tesi sostenuta da Dostoevskij ne L’idiota che è molto più complessa di quello che in apparenza possa sembrare. Io ne ho approfondito il significato nel mio recente libro Paradiso Occidente (Mondadori): comunque, nel suo senso più scontato, quella frase vorrebbe portare la bellezza ad essere un punto di Archimede per risollevare il mondo dal suo inarrestabile declino. A parte la complessità del concetto di bellezza, qualcosa è accaduto che ha fatto ritrovare a questo concetto una centralità nella nostra cultura che era stata dimenticata. Una centralità tutta da discutere e tuttavia importante per comprendere cosa sia successo in questa nostra modernità. Incominciamo col dire che il canone moderno ha escluso la bellezza dalle categorie del giudizio estetico. Facciamo un esempio che riguarda tutte le espressioni artistiche: possiamo affermare (dal punto di vista del giudizio estetico) che il quadro di Picasso, Les damoiselle d‘Avignon, sia bello? Che un testo di musica dodecafonica di Schoenberg sia bello? Che la complessità formale del linguaggio presente nell’Ulisse di Joyce sia bella? Abbiamo bisogno di altre categorie estetiche per esprimere il giudizio su queste opere esemplari della modernità, propria delle grandi Avanguardie artistiche novecentesche. Ci si può servire delle categorie del “nuovo”, dello “sperimentale”, fino ad arrivare a categorie che suggeriscono la più assoluta trasgressività, come quelle che ammiccano allo scandalo, alla blasfemia, alle provocazioni più irrituali. Chiaro che in questo complesso culturale, la bellezza finisca per essere confinata nell’effimero, nel futile, comunque fuori da un significato colto delle esperienze estetiche moderne. Però accade qualcosa che lentamente erode questa visione della cultura propria del canone moderno: perde forza l’ideologia dello sviluppo tecnico-scientifico come progetto di emancipazione sociale, perde consistenza l’idea di progresso nel suo complesso, non si fa più riferimento alla centralità di forme costitutive come la funzionalità, la praticità, l’economicità: insomma è la quantità che perde di valore di fronte alla qualità.

La scienza moderna si è sviluppata attraverso le verifiche quantitative, lasciando quelle qualitative alla dimensione estetica, ritenuta non rilevante nello sviluppo economico della società, ma nel momento in cui diminuisce il progetto di sviluppo sociale quantitativo, emerge quello qualitativo. Ora la massima espressione della qualità è la bellezza e ad essa si guarda per ridefinire i modelli di sviluppo. Una delle espressioni più abusate in questa prospettiva è “qualità della vita”, cioè la dislocazione in secondo piano della quantità a favore della qualità. Ecco il fiorire di una comunicazione che esalta il naturale, l’integrale, il benessere che si celebra nelle spa, che si ottiene con l’attività sportiva e attraverso infinite altre situazioni in cui la declinazione della bellezza suggerisce modi di vita legati al senso autentico della vita. Certo, questo è un modo per svilire il concetto di bellezza, tuttavia lo riporta ad una attenzione culturale totalmente rimossa dal canone moderno. E non diventa più un tabù riflettere sulla complessità di un significato espulso dal giudizio estetico, come accadeva fino a una ventina di anni fa. Ritorniamo alla celebre frase di Dostoevskji per un rapido e incompleto esame. Supponiamo che adesso siamo d’accordo a comprendere anche sommariamente che la bellezza possiede una sua importanza come l’aveva avuta nelle millenarie tradizioni culturali di tutto il nostro pianeta. Ma chiede Hippolyte, un personaggio dell’Idiota, quale bellezza salverà il mondo. C’è da osservare che Dostoevskij non dà una risposta a questa domanda, almeno in questo racconto. Chi è Hippolyte? È il nichilista, colui che non crede nella possibilità che la nostra vita possa trovare un valore fondante su cui costruire il senso dell’agire. Una risposta a Hippolyte, significa difendere la nostra civiltà dal nichilismo, vera malattia spirituale di questo tempo. Proviamo a rispondere. La bellezza è massima espressione della qualità. L’arte è assoluta iterazione della differenza. La qualità si esprime attraverso la differenza, cioè attraverso il superamento dell’omologazione del senso. Dunque, è l’arte che è la forma espressiva della bellezza che salverà il mondo? Sì, ma quale arte? Quella che non ammette nella categoria del giudizio estetico la bellezza? Evidentemente no. Si tratta, dunque, di ripensare il valore simbolico e metaforico del gesto creativo, quello che costituisce il senso di un fare arte che sfida il niente, che sconfigge l’assenza del valore di un qualsiasi senso inteso.