“Conclave”: habemus papam woke

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È nelle sale da qualche giorno “Conclave”, il nuovo film di Edward Berger (“Niente di nuovo sul fronte Occidentale”), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris.

La pellicola, destinata ad accendere dibattiti scatenando diverse interpretazioni, è già considerata tra le favorite al Premio Oscar. Basta guardare il cast per rendersi conto che l’obiettivo è chiaramente quello: Raplh Fiennes, John Lithgow, l’italoamericano Stalney Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini. C’è anche un po’ di cinema di casa nostra insomma in questo Conclave, che probabilmente farà storcere il naso a molti, ma se guardato attentamente in fondo non potrà che mettere d’accordo tutti.

La storia è quella dell’elezione di un Papa del futuro (per evitare riferimenti al presente, si parla di un Innocenzo XIV che succede a un Gregorio XVII, usando quindi numeri romani ancora mai raggiunti con quei nomi papali). Misteri e giochi politici ruotano attorno alla scelta del Santo Padre, che deve essere calibrata evitando protagonismi e posizioni scomode. Tra i principali candidati non corre buon sangue, perché ciascuno di loro sembrerebbe nascondere segreti: un liberale sarebbe in corsa solo per impedire l’elezione di un reazionario; un cardinale africano avrebbe avuto un figlio da una relazione illecita con una suora, trasferita in Vaticano per volere di un ulteriore candidato, intenzionato a mettere in cattiva luce il rivale. Proprio questo cardinale machiavellico sarebbe stato intimidito di dovere rassegnare le dimissioni dal Papa precedente, che a sua volta prediligeva un missionario messicano a cui il Vaticano pagò anche il biglietto per una misteriosa visita medica annullata all’ultimo momento. Tra tentativi di corruzione e valori cristiani che si annullano di fronte alla necessità di fare apparire più che fare vivere la stessa Chiesa, la direttrice che da anni abita nelle stanze segrete del Vaticano avverte tutti di essere testimone di tante verità: “Anche se noi suore dovremmo essere invisibili, Dio ci ha comunque dato occhi e orecchie”. Alla fine la spunterà il candidato inizialmente meno ipotizzato, ma a rigor di logica ritenuto più idoneo, dopo un discorso di pace che ben si allinea all’idea ecclesiastica più tradizionale.

Tantissima attesa intorno a questo film che esce, con un po’ di provocazione e un po’ di suggestione, proprio nei primi giorni del Giubileo 2025. Torna prepotentemente il dibattito su cosa significhi essere liberal anziché conservatori e su quale posizione debba quindi avere la Chiesa, che non può fare a meno di confrontarsi con le nuove ideologie, da quella gender all’integralismo religioso, ben poco propense al dialogo. Edward Berger cura tutto nei dettagli, con dialoghi e tempi ricchi di suspence per cui la noia morettiana di Habemus Papam viene completamente cancellata, benché l’argomento sia grosso modo il medesimo. E anche dal punto di vista morale, ci sarà pure un motivo se il sarcastico Moretti non avrebbe mai potuto fare un film come questo, che mostra lati umani (quindi persino errati) ma non sbertuccia in alcun modo la cristianità. C’è in questo caso più mistero e, come accadde con Dan Brown e il suo “Codice Da Vinci”, ancora una volta è un film a mettere luce su un romanzo ormai datato (uscito più di otto anni fa) e mai abbastanza considerato.

Lasciateci essere particolarmente orgogliosi dei nostri Castellitto (espressivo e multiforme nel ruolo del Cardinal Tedesco, che se la prende con la cultura islamista in seguito a un attacco kamikaze) e Isabella Rossellini (che in molti indicano giustamente come possibile vincitrice all’Oscar, in qualità di attrice non protagonista, perché con meno di otto minuti di recitazione riesce a fare trasparire umanità e coraggio nella sua Suor Agnes). La colonna sonora di Bertelmann e la fotografia di Stéphane Fontaine completano l’opera di un film che non può che assurgersi di diritto a vero e proprio kolossal da vedere, anche se non tutto da applaudire. Si sorvoli sul doppiaggio su una attrice come la Rossellini, ma resta un peccato vedere sfruttare la carità cristiana per avallare le retoriche contro omofobia e razzismo, provando a rendere così sacrosanto ogni pensiero politicamente corretto. L’ideologia woke anche in Vaticano, forse ce la potevamo risparmiare. Forse, perché in effetti “Conclave” prende coscienza delle questioni principali di un’epoca mettendo di fronte a un dibattito che non si può schivare. Non solo: Harris non prende una posizione netta in questo senso e, se lo fa, ci insegna comunque ad accettare il mondo come la natura lo ha voluto prima di tutto.

Pazienza dunque se per descrivere come sbagliato l’atteggiamento di chi critica l’Islam lo si deve far passare per guerrafondaio, rendendolo un po’ macchietta al pari di come l’universo woke guarda a chi la pensa diversamente; pazienza se ora il mondo del politicamente corretto si riempirà la bocca con citazioni di questo film. Sentirete dire di tutto sulla pellicola di Berger: interpretazioni più o meno sconclusionate e disattente tenderanno a confondere ulteriormente le idee. Conclave, però, non è un film unilaterale: guardato attentamente, ci conferma piuttosto che la Chiesa sa mantenere la sua essenza di ascolto e osservazione, restando sempre attuale e dialogando anche con gli estremisti woke, senza per questo avallarne l’ideologia. Il Papa gender di Harris mostra lati umani e corruttibili della Chiesa, ma non ne mette in discussione i valori su cui da sempre si fonda l’Occidente. Spiacerà a qualcuno, dunque, ma nonostante tutto resta impossibile fare di questo film una bandiera del politicamente corretto solo con la scusa di attribuire un significato diverso alla carità cristiana, che i woke non sanno nemmeno cosa sia. La cultura identitaria occidentale non si perde solo per i piagnistei dogmatici di qualcuno; il cristianesimo non viene trasformato da strumentalizzazioni sociopolitiche. “Conclave”, volente o nolente, ci dice questo e non a caso anche il Vaticano ha applaudito a questo film, che senza dubbio ora farà esplodere le vendite dell’omonimo libro. Godiamocelo in quanto tale: per l’Oscar appuntamento a marzo, quando ormai saremo già saturi di tanti tentativi di porre bandierine e cambiare il senso della cristianità.

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