Difendere chi siamo, difendere le nostre coste

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Foto di Gianni Crestani da Pixabay

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La difesa delle Coste Italiane rispetto alla loro possibile -e forse anzi da taluni auspicata- transizione sotto il controllo straniero mi pare essere di primaria importanza. E ciò precipuamente per due ragioni, che proverò a chiarire, pur senza pretese di esaustività, nelle righe che seguono.

Anzitutto, la cultura balneare è in Italia parte integrante della nostra identità, radicata nella storia e nella tradizione. Ne offrono una preziosa testimonianza le pellicole e la letteratura, ad esempio, ma poi anche la memoria dei meno giovani di noi. Non è forse vero che spiagge e ombrelloni, battigia e stabilimenti balneari hanno forgiato l’immaginario e l’identità degli italiani del secolo scorso? Non è forse vero che senza quella cultura non saremmo ciò che siamo? Come si può, dunque, accettare che le spiagge, le nostre spiagge, vengano consegnate, per un gesto puramente politico, alle tutele di gruppi stranieri semplicemente in nome delle algide e spietate logiche del mercato, vuoi anche nella ben nota formula semi-teologica del “ce lo chiede l’Europa”? Si può realmente ammettere, come pure pare essere dogma inconfutabile della nostra epoca, che su tutto debba in ultima istanza decidere sovranamente la logica economica del mercato?

Anche in ciò, l’Unione Europea si rivela perversa negazione della storia e delle identità che compongono il ricco mosaico dell’Europa: per dirla con una felice formula di Habermas, l’Unione Europea esiste oggi come tetragona “spirale tecnocratica”, che risucchia identità e culture nel nulla della civiltà merciforme. Senza tema di smentita, possiamo affermare che la questione relativa alla “internazionalizzazione” delle spiagge italiane, se così vogliamo chiamarla, rappresenta un esempio emblematico del modus operandi dell’Unione Europea. Come più volte ho avuto modo di sottolineare, l’Unione Europea rappresenta la negazione stessa dell’idea di Europa, se la nostra Europa è, come effettivamente è, una articolata e polifonica realtà composta da culture, identità, storie, lingue, tradizioni; una realtà tale per cui, in sintesi, essere europei significa né più e né meno che essere italiani, francesi, spagnoli, tedeschi.

L’Unione Europea nega l’idea di Europa, poiché cancella le identità locali in nome di una presunta identità europea superiore, che in realtà non esiste da nessuna parte, essendo l’identità Europea quella dei singoli popoli che compongono storicamente l’Europa stessa. Sotto questo riguardo, l’Unione Europea si conferma per quello che è, un monstrum terrifico, che uccide spietatamente le identità e che a ogni latitudine fa prevalere il nudo interesse spietato del mercato, anche a costo della distruzione delle identità europee, ciò che ormai appare inconfutabilmente sotto gli occhi di tutti come non un accidente, bensì l’essenza stessa di questa Unione Europea. La conseguenza, ovvia ma mai abbastanza nota, sta nel fatto che chi realmente ami l’Europa deve eo ipso avversare l’Unione Europea, che dell’Europa è un lugubre pervertimento.

La questione delle spiagge ne offre una ulteriore conferma, se invero ancora ve ne fosse bisogno. Insomma, ne sono fermamente convinto: dobbiamo difendere chi siamo e per difendere chi siamo dobbiamo specificamente difendere anche le nostre coste e la loro gestione. Si tratta di una sacrosanta difesa identitaria e culturale, che è poi parte integrante della battaglia che si è venuta costituendo al tempo del globalismo finanziario che tutto risucchia e muta in merce disponibile secondo il valore di scambio. Come ho cercato di chiarire nel mio studio Difendere chi siamo. Le ragioni dell’identità italiana, la lotta contro il globalismo è anche e non secondariamente una lotta identitaria e culturale, la lotta di chi ha una cultura e una identità e non si piega alla civiltà del nulla quale si esprime in forma macabra nella cosiddetta cancel culture, la subcultura del cancellare le identità e le culture.

L’altro argomento su cui desidero richiamare celermente l’attenzione riguarda il fatto che, nel caso specifico italiano, le spiagge coincidono anche in larga parte con i confini del nostro Stato nazionale. Che cosa accade realmente a una nazione che di fatto affida la gestione dei propri confini a gruppi stranieri? Non è una domanda oziosa, si badi, dacché riguarda un elemento essenziale, quello della gestione dei confini: i confini sono per una nazione l’equivalente della pelle per il nostro corpo; devono essere permeabili, certo, ma secondo una logica tale per cui il rapporto tra interno ed esterno non vada a distruggere “l’organismo”. Se la pelle fosse un muro e non lasciasse passare nulla, l’organism morirebbe. Ma l’organismo egualmente morirebbe se la pelle, anziché filtrare, lasciasse passare tutto indistintamente o, come oggi usa dire, in forma deregolamentata. Per questo mi pare di non secondaria importanza riflettere su questo aspetto, su cui troppo poco si è riflettuto ad oggi: le nostre spiagge rappresentano un fortilizio di identità e di cultura, ma poi anche i confini della nostra nazione, cosa che davvero comporta a mio giudizio l’impossibilità di lasciarne il controllo e l’amministrazione a forze straniere. E poco importa, in fondo, se a chiedercelo sia l’Europa.

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