Ecco come la trap si è fatta voce del neoliberismo

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Nei testi abbondano la mercificazione del sesso e l’elogio di tutte le droghe

Quando ci imbattiamo nel look kitsch e stravagante di un Achille Lauro o di uno Sfera Ebbasta, i trapper italiani notissimi oramai non solo alla platea di giovanissimi che frequenta le piattaforme social, ma anche al più navigato pubblico televisivo, di solito la reazione contempla o lo sdegno o lo stupore. Entrambe queste risposte sono, purtroppo, funzionali ai personaggi di cui discorriamo e controproducenti; proviamo a capire perché. Da sempre il linguaggio creativo ed artistico prevede un utilizzo di contenuti e metodologie trasgressive; a ben vedere infatti la comunicazione artistica esiste anche per farci superare e trascendere le limitazioni del linguaggio abituale, attraverso un uso sublimato di concetti e parole che altrimenti finirebbero nel calderone della controversia. Ebbene, anche oggi il mondo artistico – e la musica nella fattispecie – affermano una loro trasgressione rispetto al pensiero comune, ma il punto saliente della questione è che quella di cui adesso si parla altro non è che una falsa trasgressione, veicolata attraverso meccanismi di mera superficie, che in realtà non fa altro che contribuire a rendere più persistente un conformismo di massa che avvolge ogni forma del nostro esistere. La cosiddetta trap, un sottogenere della musica rap/hip hop, nato negli Stati Uniti ed oggi diffusissimo anche nel nostro Paese, ha esattamente questa funzione ed è per questo che non dobbiamo giudicarne protagonisti o contenuti sulla base di una reazione immediata ed emotiva. Dalla esplosione commerciale di questo stile musicale, avvenuta attorno al 2014, le personalità uscite fuori da questo calderone, hanno iniziato ad imporre una forma di comunicazione scarnificata e svuotata, molto simile alle impersonali chat di Whatsapp, i cui contenuti sembrano da un punto di vista formale ricollegarsi a certe tematiche da sempre legate all’immaginario rock, dunque sesso, fama, droghe. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, ma è scrostando la superficie di questi testi che si comprende il reale scopo di questa musica che personalmente non esito a definire avanguardia dei disvalori del Capitale Assoluto. Innanzitutto a risaltare è un uso costante del gergo di strada e del turpiloquio, elementi tesi a creare una forma di identificazione nelle giovanissime generazioni che penseranno di trovarsi di fronte ad una qualche forma di ribellismo, proprio per questi triti espedienti verbali. Ma ciò che è davvero significativo è l’orizzonte di totale e radicato nichilismo cantato da questi personaggi: benché ogni loro brano sia una ode al successo, alla scalata sociale, ci accorgiamo che tutto ciò è indissolubilmente legato ad una dinamica di mercificazione. Esistono solo i soldi che possono permettere un riscatto, senza alcuno spazio al talento, alla specificità: per questo quello dei trapper e dei loro seguaci è un mondo in cui l’espressione creativa cede il passo all’ultimo stadio della “Società dello Spettacolo” evocata da Guy Debord e si incrocia con la pubblicità. I successi di questo genere sono infatti densamente infarciti di espliciti riferimenti a brand di moda “cool”, orologi e macchine di lusso… Parafrasando il famoso testo di Erich Fromm, è l’avere ad aver vinto definitivamente sull’essere! In questo tritacarne ovviamente finisce anche il rapporto col sesso femminile, qui descritto invariabilmente come un oggetto da disprezzare ed usare esclusivamente per le proprie necessità di sessualità animalesca e fisiologica; i modi in cui le ragazze vengono apostrofate in queste canzoni è francamente materia ributtante ed è singolare il silenzio assordante di autorità e di associazioni femministe pronte a scattare sull’attenti in occasioni decisamente meno rilevanti… Ancora, il sesso esiste solo se mercificato. L’amore non fa parte di questo mondo. Messaggi pericolosi e niente affatto trasgressivi proprio in un momento in cui l’intera socialità viene messa sotto scacco da una ideologia – quella del cosiddetto “Great Reset” – che pare volere cancellare qualsiasi forma di socialità e di calore umano in una ipotesi transumanista che non sembra lontana dal look come dal modo di cantare di questi interpreti: l’utilizzo estensivo di un accorgimento tecnico chiamato “autotune” rende assolutamente robotiche e disumanizzate le interpretazioni vocali di queste nenie postmoderne, creando un effetto straniante e per certi versi inquietante. Per completare questa strategia di formale “Divide et Impera” atta a generare un automatico rifiuto nelle generazioni più mature e dunque una identificazione maggiore nei giovanissimi, centrale è certamente il tema della droga, toccato esplicitamente a più riprese da Achille Lauro, Ghali, Sfera Ebbasta, ma soprattutto Young Signorino, capace di pubblicare un brano intitolato “Dolce Droga”. Naturalmente, anche qui, le sostanze un tempo cantate in Francia dai poeti maledetti, in Inghilterra da Thomas De Quincey o in Germania da Ernst Jünger, non sono certo evocate per “spalancare le porte della percezione”, ma per assolvere ad un ruolo molto simile a quello fornito dal denaro, ossia farci essere più “performanti” e dunque più socialmente attrattivi. Anche qui la considerazione che traspare dell’individuo è a livelli bassissimi; la trap è probabilmente il primo genere musicale del Dopoguerra in cui si teorizza implicitamente il fatto che un cantante non ha successo perché è bravo, perché ha talento, perché è bello, ma solo perché è riuscito – uno fra milioni – a conseguire soldi e visualizzazioni. Nella sgangherata filosofia di questi burattini il successo si autogiustifica in sé e per sé… La diffusione oramai sempre più estesa di questo fenomeno musicale ci spinge ad invitare chiunque a svolgere una opera di disvelamento delle tossiche falsificazioni in esso messe in atto. Il cortocircuito cui sono sottoposti coloro che abbracciano questo stile, soprattutto tra i più giovani, è per l’appunto quello di venire istruiti ad una nullificazione perfettamente funzionale alle volontà del Sistema, credendo per giunta di incarnare una qualche forma di ribellione o trasgressione. Una illusione che non possiamo certo permetterci!

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