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Oggi sono passati 40 anni esatti dall’arresto di Enzo Tortora
«Dunque, dove eravamo rimasti?». Iniziò così la prima puntata di Portobello il 20 febbraio 1987 quando Enzo Tortora venne assolto dall’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso per non aver commesso il fatto e da quella di spaccio di droga perché il fatto non sussiste: delle accuse contro di lui, durante il processo d’appello iniziato il 2 maggio 1986, non era rimasto più nulla. Il 13 giugno 1987 la Corte di Cassazione confermò la sentenza di secondo grado, e dopo 1.185 giorni a partire da quel famigerato 17 giugno 1983 la storia dell’arresto, dell’incriminazione e delle accuse a Enzo Tortora finì.
Quel 16 giugno 1983 un giornalista del Giorno lo chiamò, lui era in Rai a registrare la puntata di Portobello, una trasmissione di successo che aveva avuto picchi di ascolto fino a 28 milioni di telespettatori: «Pare che ti vogliano arrestare», gli disse il collega e lui si mise a ridere. Il giorno dopo alle quattro e mezzo del mattino Enzo Tortora fu arrestato dai carabinieri nella sua stanza dell’Hotel Plaza a Roma, l’ordinanza di custodia cautelare era stata emessa dalla procura di Napoli, l’accusa era che il giornalista sarebbe stato un affiliato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, lo dicevano i pentiti, Pasquale Barra detto o’ animale e Giovanni Pandico detto ‘o pazzo, ai quali si aggiunsero Gianni Melluso detto Gianni il Bello o anche Gianni Cha Cha Cha e una sessantina di altri collaboratori di giustizia, pentiti, che facevano parte di una retata di 856 soggetti accusati di far parte della camorra, 856 di cui quasi subito 144 risultarono omonimi di presunti appartenenti alla Nuova Camorra Organizzata.
Tortora ci era finito in mezzo perché i magistrati avevano affermato di essere in possesso di un’agenda trovata durante una perquisizione a casa del camorrista Giuseppe Puca detto ’o Giappone, che alla lettera T aveva il nome di Tortora. Sì, Vincenzo detto Enzo, ma Tortòna (o Tòrtona), non Tortora. E così Enzo Tortora venne arrestato con l’accusa di essere uno spacciatore, dicevano di averlo visto nei night milanesi mentre si metteva d’accordo per la mediazione. Lui, che non aveva mai frequentato un night e non sapeva nemmeno giocare a carte.
Fu dato in pasto ai giornali e alle tv e agli obiettivi per le foto, all’epoca non c’era ancora il comma 6 bis dell’articolo 114 del codice di procedura penale (È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi o ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta) e così Tortora finì nel tritacarne del processo mediatico giudiziario.
Dopo 7 mesi di carcere ottenne i domiciliari, poi la condanna a 10 anni, poi l’appello, poi l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Il pubblico ministero che aveva sostenuto l’accusa ha detto recentemente di aver «richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent’anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dentro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede. Non fui il solo a reputare Tortora colpevole: la mia richiesta venne accolta. Il rispetto del mio ruolo di magistrato mi impone di non parlare di altri. Dico solo che mi sbagliai. E che dopo le sentenze di assoluzione, mi resi conto dell’innocenza di Tortora e mi inchinai» (Quotidiano Nazionale, 28 giugno 2014).
Nella primavera 1984 Marco Pannella candidò Tortora per il Partito Radicale, era il simbolo di una battaglia per una «giustizia giusta», venne eletto al Parlamento europeo con 485mila voti, il 17 settembre venne condannato, lui si era dimesso da Parlamentare per affrontare il processo e affrontò i domiciliari, Raffaele Cutolo disse: «Se Tortora fosse stato un camorrista, forse io che sono descritto come il capo di quella organizzazione avrei dovuto saperlo» (Radicali Italiani, 27 agosto 1986).
Tortora morì a Milano il 18 maggio 1988 per un tumore, venne sepolto con una copia della Storia della Colonna Infame di Alessandro Manzoni.














