G7 Cultura, il ministro Giuli apre col Maestro Lavia

0

Ecco qual è il brano che Gabriele Lavia ha letto nella lingua di Cicerone, “la più viva delle lingue che alcuni dicono morte”, davanti ai rappresentanti dei Sette Grandi.

Exaudi, regina tui pulcherrima mundi, inter sidereos, Roma, recepta polos!”, “Del tuo mondo, bellissima regina, o Roma, ascolta;
o Roma, nell’empireo ciel tra le stelle…”. Questi distici elegiaci sono stati recitati ieri al G7 Cultura dal maestro Gabriele Lavia, uno dei mostri sacri del teatro italiano e mondiale, tratti dal poema tardo-latino di Claudio Rutilio NamazianoDe reditu suo“, “il suo ritorno”. Una scelta significativa quella di aprire l’incontro sulla cultura dei Sette Grandi con una lettura così profonda, e soprattutto di aprirlo con la lingua madre di tutte le lingue d’occidente, poiché anche quelle, come l’inglese, che non sono di ceppo romanzo hanno larghe parti del loro vocabolario coniate sulla lingua di Cicerone.

Alessandro Giuli e Gabriele Lavia davanti all’Ercole Farnese

Il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha accolto ieri al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, le delegazioni invitate ai lavori del G7 Cultura a Palazzo Reale. Presenti, tra gli altri, i sottosegretari Lucia Borgonzoni e Gianmarco Mazzi, il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca e il sindaco partenopeo, Gaetano Manfredi. Dopo aver condotto gli ospiti in una visita al museo guidata dal direttore generale Massimo Osanna, il maestro Gabriele Lavia ha interpretato in latino dinanzi alla celebre statua dell’Ercole Farnese un passo del “De reditu suo” di Rutilio Namaziano. La traduzione italiana di Giovanni Pascoli e la versione inglese sono state proiettate su quattro grandi monitor ai lati del palco per consentire a tutti di cogliere il profondo messaggio dell’opera.

Il poema di Claudio Rutilio Namaziano è una struggente ode d’amore per Roma, oramai in decadenza. Il poeta e praefectus urbi aveva appena condotto un viaggio verso la Gallia, per constatare le devastazioni provocate dai Visigoti, all’incirca a metà del secondo decennio del V secolo. Rutilio Namaziano in questo diario di viaggio in versi canta la bellezza divina di Roma e la sua potenza di un tempo, che diede una patria unica ai popoli “dispersi in cento luoghi” (così nella traduzione di Pascoli), e fece “del mondo un’unica città”, “Urbem fecisti, quod prius orbis erat. Con questi versi si conclude anche la lettura di Lavia.

Il poema però è molto vasto, ancorché giunto incompleto. Alla celebrazione dell’Impero Romano, la divina impresa che ha riunito il mondo sotto un’unica potestà, portando pace e civilizzazione, Rutilio Namaziano affianca la dolente constatazione della sua decadenza: un Imperatore che non si interessa ai problemi della Respublica Romana; un Senato che pensa ad arraffare e a godersi piaceri… da basso impero; il popolo romano abbandonato in balia dell’immigrazione dei barbari, oramai senza freno. E poi le guerre e le invasioni che devastano il territorio, dove il più visibile marchio di Roma, le sue insigni opere pubbliche, cade in rovina senza più manutenzione.

Un monito duro per i nostri tempi. Che ci richiama anche all’umiltà verso il passato e alla gravità delle sfide che ci aspettano. “Noi non siamo qui per salvare il mondo – ha detto Giuli ai suoi ospiti nel discorso inaugurale – ma per cercare di comprendere insieme come renderlo un posto migliore, più libero. Attraverso la cultura“. Un riferimento importante, quello della libertà, che era presente, mutatis mutandis, negli antichi autori che proprio nella decadenza di Roma vedevano la fine della libertà garantita dalla Respublica.

Ma Rutilio Namaziano, per il neo-ministro Giuli, è soprattutto un antidoto alla “pietra della disperazione” che portiamo nei cuori. “La cultura crea civiltà, ricuce le ferite” dice Giuli. E’ dunque “urgente parlare di cultura tra di noi e nel mondo”, continua il ministro dopo aver paragonato quell’età di decadenza dell’Impero alla nostra. Giuli ha celebrato l’identità nazionale dell’Italia come pilastro della cultura mondiale, perché le identità e le culture sono “una lingua universale del dialogo, dell’incontro e della pace”. E Giuli ha concluso la sua allocuzione di benvenuto proprio in latino “la più viva delle lingue che qualcuno dice morte”, “Quod bonum faustum felix fortunatumque sit“, “che tutto ciò riesca bene, fausto, felice e fortunato”.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

7 − 6 =