Secondo i dati dei percettori di pensioni o indennità di disabilità, l’Italia conta 7,658 milioni disabili e oltre 8,5 milioni di caregiver, che li supportano nella quotidianità. Oggi, 3 dicembre, in occasione della Giornata mondiale della disabilità, CulturaIdentità ha deciso di affrontare questa realtà con Giusy Versace, atleta paralimpica nonché senatrice della Repubblica Italiana.
Senatrice, l’Italia è un Paese per disabili?
“L’Italia presenta ancora tantissime barriere architettoniche, sensoriali, digitali e culturali. Le persone con disabilità si sentono pienamente incluse quando il contesto che le circonda non presenta alcuna barriera”.
Quali sono le riforme che, a suo avviso, sono state in funzione della tutela dei disabili e quali invece si dovrebbero adottare?
“In verità reputo che molte buone leggi ci siano, anche se migliorabili. dobbiamo, tuttavia, riconoscere che non tutto si può risolvere per legge. Buone leggi, seppur migliorabili, ci sono già ma spesso non vengono applicate. Basti pensare che la stessa convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, che peraltro celebriamo proprio oggi, fu ratificata nel 2009 dall’Italia. Eppure, risulta ancora oggi inapplicata in molte delle sue parti: dal diritto allo studio, al lavoro, ad una vita autonoma e indipendente fino al diritto allo sport. Sul piano normativo sono stati fatti molti passi avanti ma è ovvio che questo non basta”.
Abbiamo parlato di provvedimenti a tutela dei disabili, a suo avviso, invece, quali sono quelli da modificare o, addirittura, abrogare?
“Per fare qualche altro esempio potrei citare la più recente legge delega sulla disabilità, tanto attesa, perché è la prima legge quadro dopo 30 anni. Pensi che la più nota e completa è la l. 104 che risale al ‘92 e continua ad essere un faro; penso anche alla l. 68/99 per il collocamento mirato delle cosiddette “categorie protette”, un’opportunità anche per le aziende, ma molte di queste, anziché’ applicarla, a volte, preferiscono pagare le sanzioni; è stata anche inserita la possibilità’ agli atleti paralimpici di essere assunti e arruolati a tutti gli effetti come gli altri atleti, nei gruppi sportivi militari e corpi dello stato, una battaglia che rivendico con grande orgoglio, perché l’ho portata io per prima in parlamento nel 2019 e, anche se non porta il mio nome, oggi è legge dello stato a tutti gli effetti; e ancora, ci sarebbe da migliorare la legge “sul dopo di noi”, definire e garantire adeguati stanziamenti per la figura del caregiver o del disability manager…
Lo spazio di un giornale non basterebbe. Dobbiamo lavorare perché le leggi siano applicate ma dobbiamo anche lavorare moltissimo sul piano culturale. Su quest’ultimo punto un grande sprint lo sta dando, negli ultimi anni, lo sport paralimpico che educa e aiuta coloro che non vivono e non conoscono la disabilità a guardarci con occhi nuovi e migliori”.
A proposito di provvedimenti a tutela dei disabili, che iniziative ha in loro difesa?
“Penso di avere già risposto alla domanda precedente. Posso però aggiungere che, ad esempio, nel 2022 il parlamento ha vantato di aver inserito in costituzione ed all’unanimità la pratica sportiva. certamente un passo importante ma non un traguardo raggiunto: finché tutti gli attori, a cascata, non si adoperano perché questo diritto sia concretamente tutelato e garantito, non possiamo urlare al goal. Pensi che ancora oggi il nomenclatore dei lea, pur con le sue approssimative modifiche, non prevede l’erogazione di protesi, ausili e dispositivi di tecnologia avanzata che oltre a garantire una qualità di vita quotidiana superiore, potrebbero offrire anche la possibilità’ di scegliere di praticare sport amatoriale. Questo diritto, seppure oggi previsto nella nostra Carta costituzionale, non è garantito davvero a tutti. Molte persone con disabilità, fin quando il nostro SSN non sarà seriamente aggiornato, devono tutt’oggi pagarsi protesi e ausili adeguati a praticare sport, con risorse proprie, oppure rinunciarvi. Questa è una delle tante battaglie che porto avanti anche in parlamento”.
Per quanto concerne i caregiver, invece, le pongo la stessa domanda d’apertura fatta sui disabili: L’Italia è un Paese per caregiver?
“L’Italia ha riconosciuto giuridicamente questa figura ma essa non è finanziata in modo strutturale e adeguato, pertanto la fotografia attuale ci dice che gli scenari cambiano da regione a regione, in base anche agli stanziamenti regionali che sono, ovviamente, non uniformi”.
Per quanto riguarda invece l’aspetto culturale, a suo avviso, quali sono le falle della società che causano pregiudizio e discriminazione?
“L’ignoranza è il primo ostacolo da buttare giù. Ovviamente mi riferisco al senso vero del termine, ovvero a quello di “non conoscenza” e non a quello di “offesa”. Molti non approfondiscono, parlano senza conoscere il tema, non si curano delle tante barriere esistenti: nei comuni, a scuola e in università, nei teatri, nelle metropolitane, nei locali commerciali e potrei andare avanti”.
A proposito di aspetto culturale, purtroppo, si è spesso assistito e si assiste tuttora a una condotta da parte delle istituzioni scolastiche, che porta l’isolamento dei disabili o, addirittura, la derisione da parte degli stessi insegnanti nei loro confronti. Secondo lei qual è la causa di così tanta disumanità? E cosa si dovrebbe fare per combattere ma soprattutto prevenire simili situazioni?
“Non bisogna generalizzare, ma va detto che la discriminazione e il pregiudizio sono anche figli di una profonda ignoranza sul tema che va contrastata anche grazie alla cultura. La scuola ha bisogno di più formazione, spazi adeguati allo studio, per i laboratori e, perché no, anche delle palestre scolastiche. Luoghi che possano aprire a garantire una piena inclusione anche ai ragazzi con disabilità. Ho conosciuto molti casi di scuole chiuse e inaccessibili ma al tempo stesso anche casi virtuosi che hanno fatto dei progetti di inclusione dei propri punti di forza. Anche per questo motivo io ho scritto due libri e mi trovo spesso nelle scuole a parlare con gli studenti. I ragazzi sono svegli, veloci e sono il futuro. Dobbiamo molto puntare su di loro per costruire un mondo più attento, più rispettoso, realmente inclusivo ma soprattutto più gentile”.
Come vede la situazione dei disabili in futuro?
“Da inguaribile ottimista guardo all’evoluzione culturale che abbiamo avuto nell’ultimo decennio e quindi non posso che essere fiduciosa”.