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La chiamano guerra di liberazione, per noi (e non solo per noi, c’è una ricca messe di documentazione e studi storici a dimostrarlo, basta leggere senza il paraocchi ideologico) è stata una guerra civile fra italiani. Se dici che è divisiva, i “buoni”, i “migliori” (Il Migliore! Togliatti!) ti danno di ignorante e ai dibattiti t’infilano subito la mordacchia, quando invece paradosso per paradosso quest’anno la stessa ANPI è…divisa sulla guerra in Ucraina, c’è chi si è spinto a proporre di infilarci pure il vessillo della NATO, che però nasce non il 25 aprile 1945 ma il 4 aprile 1949: del resto, lo stesso Mattarella ha paragonato la resistenza degli Ucraini alla resistenza degli italiani contro i “nazifascisti”. E mentre la cultura e lo sport dovrebbero unire anzichè dividere, in questi giorni assistiamo allo spettacolo esattamente contrario, con la messa al bando di artisti e sportivi colpevoli di essere russi. Ultima notizia in ordine temporale, alla Biennale di Venezia inaugurata l’altro giorno il Padiglione Russia era chiuso: via!, rauss! E’ l’intolleranza dei “buoni”, che ieri come oggi continua a lasciare lettera morta il monito di più di vent’anni fa di Luciano Violante Presidente della Camera sulla necessità di una pacificazione nazionale, intolleranza che in alcuni casi si trova in imbarazzo quando scopre che i “buoni” magari prima stavano dall’altra parte.
Artisti, attori, musicisti, scrittori e giornalisti. Tra gli 800mila volontari di Salò c’erano anche loro: la Repubblica Sociale aveva visto l’adesione di tanti soggetti poi diventati volti noti dello spettacolo, della cultura e del giornalismo, compresi quegli insospettabili vip che forse molti non si aspettano di trovare: ricordiamo tutti il gran chiasso del Dario Fo paracadutista GNR- Guardia Nazionale Repubblicana, tanto per fare un esempio. Di Giorgio Albertazzi (sottotenente della Legione Tagliamento GNR) magari tutti sanno e magari pure di Ugo Tognazzi (Brigata Nera di Cremona), ma forse ritrovare Wanda Osiris e Giovanni Spadolini nella RSI può far alzare il sopracciglio all’ingenuo. Saranno stati tutti dei coglioni gli artisti più amati dagli italiani (anche dopo) che aderirono alla RSI? O non sarà invece coglioneria la vulgata per cui comunisti uguale cultura mentre fascisti uguale pescivendoli? Ci è voluta, ad esempio, la mostra Post Zang Tumb Tuuum di Germano Celant in collaborazione con l’Istituto Luce – Cinecittà (cioè la casa del cinema fondata da Mussolini, tanto per dire) alla Fondazione Prada (quindi non la mostra di manifesti in un ristorante di Predappio) per far smuovere la pigrizia intellettuale di chi ancora oggi pensa che a livello culturale se non c’è la sinistra c’è il diluvio. Marcello Mastroianni (attore nella Rsi nei ranghi dell’Isituto Geografico militare poi con i tedeschi nell’Organizzazione Todt), Valentina Cortese (Servizio Ausiliario Femminile), Raimondo Vianello (Bersagliere volontario RSI), Luciano Salce (Brigate Nere), Enrico Maria Salerno (allievo ufficiale della scuola GNR di Varese), Ernesto Calindri e Gino Bartali (GNR), Walter Chiari e Ugo Pratt (X Mas), tutti dei rinnegati del presidio democratico? Molti poi hanno fatto il salto della quaglia, vedi oltre al già citato Fo il regista Marco Ferreri (GNR) per esempio, altri sono invece stati allontanati dall’egemonia culturale della sinistra post guerra civile (altro che liberazione) pagandone le conseguenze. E meno male che la cultura dovrebbe unire e non dividere.
Ecco gli altri nomi che dal palco di un teatro o dalla macchina per scrivere o nei templi dello sport hanno aderito o manifestato simpatia per la RSI: Tiberio Mitri, pugile, milizia ferroviaria. Carlo Mazzantini, scrittore, Camice Nere. Piero Vivarelli, regista cinematografico, Xma MAS. Roberto Vivarelli, storico, Brigate Nere. Michele Bonaglia, pugile, fucilato da partigiani 1944. Artisti che lavorarono alla Cinecittà di Venezia: Elena Zareschi, attrice. Mino Doro, attore. Silvio Bagolini, attore. Cesco Baseggio, attore. Roberto Villa ,attore. Lilla Brignone, attrice. Memo Benassi, attore. Emma Gramatica, attrice. Toti dal Monte, soprano lirica. Piero Tellini, sceneggiatore. Carlo Nebiolo, operatore. Fernando Cerchio, regista cinematografico. Carlo Borghesio, regista cinematografico. Giorgio Ferroni, regista. Il tenore Tito Schipa fu arrestato dalla polizia partigiana per l’ abitudine, ai tempi della RSI di presentare così una sua esibizione: Vi canterò ora “Torna a Surriento”….e ci torneremo”. il 25 febbraio del 1945 nei camerini del Teatro della Pergola venne aggredito Antonio De Curtis (in arte Totò), colpevole di calunnie e ironie sui partigiani ai quali durante il suo spettacolo, si era lasciato andare un “imputato alzatevi”.















«La chiamano guerra di liberazione, per noi (e non solo per noi, c’è una ricca messe di documentazione e studi storici a dimostrarlo, basta leggere senza il paraocchi ideologico) è stata una guerra civile fra italiani».
Appunto.
Con l’aggiunta che da parte di chi ha avuto il sopravvento ha consumato una serie lunghissima di vendette per togliere di mezzo quanti più possibili avversari politici del prima e, in prospettiva, del dopo guerra.
L’Anpi, poi, è un non senso. Un’alchimia malefica che va avanti da 77anni e che soltanto in un’Italia di arrampicatori poteva attecchire. Non per niente, da quella ‘Collina degli stivali’, a favore degli attuali associati Anpi, che con la Residenza, nel bene e nel male, ad attestarlo è l’anagrafica, non hanno avuto mai niente da spartire, ogni anno dalle casse dello stato (e cioè dalle tasche della collettività) arriva una montagna di soldi. E precisamente, a parte le altre prebende a vario titolo corrisposte, ‘1,9 milioni di euro riservati dal ministero dell’Interno e altri 1,6 milioni elargiti dal ministero della Difesa’.
Niente più e niente meno che uno, insomma, dei tanti centri di potere a servizio di quel Pci, Pds, Ds, Pd che degli italiani (a parte quelli con la tessera del partito in tasca) non gliene fregato mai niente.
Italiani non “brava gente” quanto “strana gente”.
Negli anni ’50 le parate del 2 giugno, con l’esibizione delle nostre Forze Armate, volevano dimostrare al Popolo che, dopo una guerra persa, gli Italiani oltre che attuare una ripresa economica poderosa e ricostruire un Paese devastato, erano anche capaci di riformare una Forza in grado di provvedere alla difesa dei confini, parzialmente ridotti, della Patria stessa.
Ma questi “migliori” e, ora, “sinceramente democratici” (odiatori riconosciuti delle Uniformi) sono riusciti, nel tempo e con la connivenza di alcuni Comandanti in Capo delle FF AA, a trasformarle in una passerella per il volontariato e la Protezione Civile.
Il 4 novembre, anniversario della Vittoria e festa delle Forze Armate (citare questo termine fa venire la nausea ai Kompagni ed io rischio l’estradizione) si è dovuta trasformare in festa dell’unità nazionale. E su questa unità ci sarebbe tanto da dire.
Arriviamo al 25 aprile, Festa della Liberazione, che a furia di epurazioni dei non allineati al loro pensiero, l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani, ormai, Inesistenti) è riuscita a trasformarla nella “festa de no’artri”
Il 25 aprile non è la mia festa! Io sono stato “liberato” dal partigiano TITO il 3 maggio del 1945 e mi sono liberato DA TITO dopo il 10 febbraio 1947 come esule in Patria.
una sanguinosa guerra civile che paradossalmente si attenuò negli anni ’50. Io da ragazzino aspettavo con ansia il 4 novembre pe poter visitare la caserma dell’allora Savio Cavalleria. Fu dalla metà degli anni 60′ che ricomparve un antifascismo sempre più feroce; poi sarebbero arrivati gli anni di piombo. Parlare di popolo italiano ha senso solo quando gioca la nazionale di calcio. Il resto è illusione.
Credo che gli italiani facciano la scelta di campo piu’ per opportunismo che per convinzione.
adoro un cartello che recita… ” La sinistra Italiana è come lo scaldabagno , tolta la resistenza rimane il BIDONE” auguri a tutti gli elettricisti che di RESISTENZE ne sanno piu loro…
Il 25 aprile non è la mia festa! Io non mi sento “liberato” poiche chi ti libera non ti “IMPONE” un’altra idea di LIBERTA, ma te la lascia scegliere .
Ultimo capoverso, la migliore frase fra tannte ottime. Complimenti !
Con la definitiva occupazione dell’Italia da parte delle truppe Statunitensi, Inglesi, Canadesi, Australiane, Nepalesi, NeoZelandesi, Sudafricane, Francesi, Marocchine, Algerine, Tunisine, Senegalesi, Brasiliane, Polacche, Jugoslave (salvo dimenticanze ed omissioni) oggi si festeggia la Liberazione del suolo iotaliano dal barbaro invasore tedesco ed i loro servi sciochhi Cosacchi dell’odierna Ucraina. A volte la Storia fa degli strani giri, ma sarebbe come dire che il meglio c’ha la rogna.
Partigiani divisi da ideologie, prima di combattere l invasore odiandosi si sparacchiavano tra di loro, e ancora la massa di intellettualoidi con la camicia double-face nera e rossa.
Beh pure loro tenevano famiglia.
Gli alleati ed i partigiani consegnarono le truppe Cosacche e le loro famiglie ai russi dopo averle raggruppate in Friuli.
Non si seppe piu nulla di questi militari delle famiglie o dei figli/e
Raccontato da mio nonno. Zona: paesino arrocato sulle pendici delle Prealpi Giulie dove l’idioma é un dialetto slavo. Periodo: febbraio del ’45. Partigiani slavi con la ”svesda” rossa sulla bustina e partigiani garibaldini con il fazzoletto rosso uniti a far baldoria: tanto fumo e niente arrosto vivacchiando ed aspettando la fine della guerra. Qualche scaramuccia con l’occupante e nulla di piú, tanto per farli incaxxare spingendoli a prendersela con la popolazione inerme. Una squadraccia di comunisti entra a casa di mio nonno razzia tutto quello che trova, pure l’unica vacca rimasta nella stalla. A nulla valsero le preghiere di mia mamma incinta spiegando che quel latte serviva per i bambini. Gli diedero una ricevuta e gli dissero: zat Stalin plaÇa (poi pagherá Stalin). Finisce la guerra. Mio nonno viene a sapere che oltreconfine un tal Tonz, capetto partigiano, ha messo in vendita alcune vacche. Mio nonno si reca sul posto e ricompra la stessa vacca che gli era stata razziata qualche mese prima. Viva la resistenza e viva gli elettricisti che la sanno usare.