Il suggestivo buio-luce di Giorgia Marras

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La giovanissima pittrice genovese con “La Solitudine” tra Caravaggio e caravaggisti

È incredibile pensare alla forza di Caravaggio e alla sua capacità di imprimere una svolta nella storia dell’arte. Contrariamente a quello che molti sostengono per dare forza all’idea – sbagliata – che gli artisti contemporanei non capiti siano in verità simili a Caravaggio, in vita non compreso a pieno, basti invece riflettere su come il pittore lombardo archiviò in un istante il Cinquecento, l’idealità di una pittura tutta tesa alla perfezione della rappresentazione, e squadernò la modernità del Seicento con una maniera così realista da lasciare attoniti gli stessi artisti che giungevano a Roma e, visti i suoi quadri, tornavano nei Paesi di origine sapendo che non avrebbero più potuto dipingere alla maniera vecchia. La recezione di Caravaggio, pur non esistendo Instagram, fu pressoché immediata e sconvolgente, tanto che si alimentò, quasi a sua insaputa – Caravaggio negli ultimi anni di vita lottava con sé stesso per alimentare il mito di fuggiasco déraciné – una scuola vasta di caravaggisti sparsi per tutta Europa durante il Barocco e che prosegue tutt’oggi come se ancora si potesse dire, ed effettivamente è così, qualcosa attraverso quel tipo di lavoro. Si veda, per esempio, un pittore di grande intensità come Roberto Ferri, che risolve il suo caravaggismo con venature contemporanee surrealiste, oppure decisamente più pop, Alex Folla che usa gli incarnati seicenteschi per gli eroi del calcio moderno o dei motociclisti firmati Dainese. Alla stessa stregua, la giovanissima Giorgia Marras, classe 1996 di Genova, si dedica alla pittura classica “influenzata e affascinata dall’ingegnosità di Michelangelo Merisi, e si dedica a realizzare opere piene di pathos e violenza”, che hanno qualcosa di spagnoleggiante, ovviamente affinando la tecnica della pittura nera, puntando al suggestivo contrasto tra luce e buio, quasi un lampo che fa propendere Vittorio Sgarbi a definire Caravaggio il primo fotografo della storia. C’è infatti nel lavoro della Marras qualche reminiscenza non solo realista ma propriamente iper realista come nel quadro “La Solitudine” – segnalato da CulturaIdentità al Premio Maestri a Milano – in cui il virtuosismo della figura riflessa nella lampada tonda, una sorta di anamorfosi, ricorda per certi versi Luciano Ventrone prima maniera, quando volendo stupire, e ci riuscì, un critico alla Federico Zeri, dipingeva un uomo riflesso nel tondo di una lampadina.

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