“La Verità” di oggi intervista il direttore di CulturaIdentità Edoardo Sylos Labini. Dal suo nuovo programma su Rai3 sui giganti dell’italianità – Mazzini, Marinetti, D’Annunzio e Guareschi – alla nascita di CulturaIdentità, dalla cancel culture al politicamente corretto.
di Carlo Cambi da La Verità del 18 dicembre 2023
Si potrebbe intitolare I giganti dell’eresia? «Io preferirei I padri dell’italianità, ma ne parliamo quando si potrà». Edoardo Sylos Labini sta per tornare in televisione, sui Rai 3, con uno spettacolo che ruota attorno a quattro immense biografie. Li ha portati tutti, tranne uno, in teatro, e li ha proposti proprio come manifesto dell’italianità. Oggi a sei anni da quando ha fondato CulturaIdentità – un movimento di riflessione politica e culturale che si è fatto mensile, inserto di quotidiano e infine festival delle oltre cento città riunite nella Fondazione Città Identitarie – tornerà ad affacciarsi al cosiddetto grande pubblico. La sua vicenda di intellettuale – attore prima di tutto e successivamente regista, scrittore, giornalista – si è snodata dal primo impegno politico in Forza Italia alla costruzione di un gruppo che guarda alla destra come al luogo del pensiero libero e della coltivazione dell’identità intesa anche come amore per la patria. Ci si aspettava di vederlo ad Atreju, non foss’altro come osservatore, e invece se ne sta a casa a leggere le biografie di alcuni italiani illustri e a covare un’influenza fastidiosa. I progetti sono già oltre questa quotidianità. A cinquantadue anni, compiuti due settimane fa, l’approccio è maturo ma l’entusiasmo è da ragazzo che ha voglia di cambiare il mondo. Come si fa a dirlo? Beh basta ascoltare l’entusiasmo per questa nuova sfida televisiva e la prudenza nel parlarne «perché se sei sotto contratto Rai devi rispettare delle regole anche di riservatezza».
Che effetto fa tornare in tv da protagonista?
«Entusiasmante perché è un impegno tosto, bello perché da dieci anni non facevo un programma mio. Per me la televisione era chiusa se si eccettuano gli interventi nei talk show. Chiariamoci: del programma posso dire pochissimo, né la data, né il titolo, anche se ho letto che qualcuno ha fatto anticipazioni, ma sono illazioni».
Si può dire che sarà un programma che racconta Gabriele D’A nnunzio, Tommaso Marinetti, Giuseppe Mazzini e Giovannino Guareschi?
«Sì, si può dire, anzi si deve dire perché io considero la scelta di raccontare questi che sono dei monumenti dell’italianità una svolta, una presa d’atto che tutti e quattro hanno espresso un immenso amore verso la nostra patria che prima di tutto è una comunità fatta d’identità culturali riconoscibili, e tutti questi personaggi hanno un profondissimo spessore culturale che era indispensabile esplorare di nuovo. Sono personaggi che ho già portato in teatro, ma dare loro una dimensione televisiva è una sfida anche di linguaggio».
Ma se il centrodestra non fosse al governo forse non avrebbero avuto questa resurrezione?
«Diciamo che il centrodestra rende possibile un’operazione che è culturale, perché se li prendi uno per uno questi personaggi non sono funzionali né alla destra né alla sinistra. Sono stati tutti a loro modo dei rivoluzionari e degli eretici. C’è sicuramente oggi un clima favorevole alla loro riscoperta».
Bando alla prudenza: è scoppiato una sorta di scandalo perché ad Atreju il direttore «approfondimento Rai» Paolo Corsini ha rivendicato la sua appartenenza a Fratelli d’Italia e ha criticato Elly Schlein; l’opposizione è insorta e l’ad della Rai ha chiesto chiarimenti. È questo il clima?
«Non mi spiego tutto questo scandalo, mi pare che non abbia detto nulla di scandaloso appunto. Ognuno ha le sue idee, ha le proprie appartenenze politiche e non c’è niente di tragico nel sottolinearle o rivendicarle. Il solo limite è di non servirsi del servizio pubblico per fare politica. E questo riguarda tutti: ora come nel passato. Però poi uno è libero di avere le proprie idee. Mi torna in mente a proposito di questa faccenda un insegnamento di mia nonna che mi diceva: Edoardo, non ti fidare mai dei moralisti ».
Insomma bisogna resistere al luogocomunismo, al politicamente corretto, alla cancel culture rivendicando le proprie idee ovunque?
«Io l’ho fatto e ho pagato anche dei prezzi salati. Se da dieci anni non faccio un mio programma vorrà dire qualcosa. Ma come risposta ho fondato CulturaIdentità come movimento culturale che si vuole liberare dal politicamente corretto, da queste buffonate della cancel culture. Io penso che le persone siano stanche di questo chiacchiericcio e penso che il politicamente corretto sia combattuto da tutti, anche a sinistra. L’uomo vero di sinistra che ha una sua cultura, è indignato da questo andazzo. Sono convinto che dopo che avrò proposto i miei personaggi diventerò un’icona della sinistra perché a destra come a sinistra c’è bisogno di nuovi riferimenti e i miei personaggi sono riferimenti fortissimi. Sì, saranno icone anche per la sinistra».
Giuseppe Mazzini è il più politico dei quattro personaggi, ma forse per questo è anche quello caduto più profondamente nell’oblio.
«Mazzini è stato rivendicato dalla destra e dalla sinistra, certo non è mai piaciuto ai marxisti e loro discendenti. Ricordo a me e a tutti che quest’uomo è stato il profeta dei poveri che aveva per motto Dio, patria, famiglia e umanità, con un’idea di Dio rappresentato da una religione laica, che è il padre spirituale della patria repubblicana, che ha lottato per liberare i giovani d’Italia e d’Europa. Ebbene nel 2011 nell’occasione del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia ho messo in scena con la regia del compianto Alessandro D’Alatri Disco Risorgimento, una storia romantica . Quello spettacolo ha ricevuto la medaglia d’oro del presidente della Repubblica – allora era Giorgio Napolitano – e lo abbiamo messo in scena in tanti teatri e in tante università, ma a Roma Tre abbiamo dovuto recitare scortati dalla Digos perché i collettivi sostenevano che fosse uno spettacolo fascista. Mi chiesi e chiesi loro se avevano una minima cognizione della storia del nostro Paese, se sapevano chi fosse davvero Giuseppe Mazzini. Credo che questo sia sufficiente a spiegare quali sono i guasti della cancel culture, del politicamente corretto e perché sia necessario e di estrema attualità lo spettacolo che stiamo preparando per Rai 3».
Partendo dalle biografie o dal pensiero, dalle opere che magari sono un po’ più scomode?
«Posso dire pochissimo. C’è un bel gruppo di autori con me e stiamo lavorando per ora sulle biografie, ma ovviamente non possiamo trascurare il pensiero. Quando ho portato in teatro questi personaggi io ho studiato profondamente le loro opere».
Giovannino Guareschi non è una novità assoluta?
«Sì è vero, lui non l’ho mai portato in teatro. Si ragionava prima di luoghi comuni. Guareschi ne è ampiamente vittima. Basti pensare che da antifascista fu deportato in un campo di concentramento e da anticomunista è stato considerato fascista » .
Però la destra sociale ha guardato a Mazzini…
«Sicuramente, ma certo non si può dare del fascista a Mazzini. Semmai andrebbe riletto per dire all’Europa oggi frammentata che il suo insegnamento può essere un faro culturale e identitario contro tutto ciò che è divisivo».
Già che ci siamo: insistere sull’identità italiana può servire ad avere un posto nuovo in un’Europa così sfarinata?
«È indispensabile. A dimostrarlo sta ciò che sta facendo Giorgia Meloni. In questo ultimo anno di governo i suoi maggiori successi sono in politica estera; è una leader che gode dell’altissima considerazione di chiunque e ha costruito questa leadership su un nuovo ruolo dell’Italia che si afferma attraverso l’identità. Bisognerebbe ricordarsi che per certa sinistra la capitale d’Italia doveva essere Parigi. Per questo guardare a Marinetti, D’Annunzio, Mazzini e Guareschi ha qualcosa di rivoluzionario. Questi personaggi appartengono a tutti gli italiani e sono talmente complessi che non possono essere etichettati. Le loro vite sono straordinarie battaglie di uomini che hanno combattuto per le loro idee e se si confrontano al nichilismo sciatto dei giorni nostri diventano giganteschi e sono il fondamento per la costruzione di una nuova consapevolezza culturale. Penso a uno come Tommaso Marinetti che da vecchio aderisce alla Repubblica di Salò mentre tutti fuggono perché vuole essere un bastian contrario » .
Come D’Annunzio, che passa per fascista ma come sostiene Giordano Bruno Guerri non fu mai fascista?
«Esattamente. D’Annunzio si risolve nella rivoluzione di Fiume e la sua grande delusione fu vedere la marina italiana schierata contro Fiume. La costituzione del Carnaro è modernissima e col fascismo non c’entra. Quando l’ho messo in scena nel 2013 l’ho studiato profondamente: lui non aderisce mai al fascismo anche se il fascismo gli deve molto».
Alla fine cosa lega questi quattro «giganti» e perché li ha scelti?
«Perché sono profondamente anarchici, perché non sono catalogabili. E perché sono stati un esempio per me: Quando ho fondato CulturaIdentita – pagando anche dei prezzi altissimi personalmente e artisticamente – avevo in mente di creare una riunione d’intellettuali così come D’Annunzio fece con i fiumani, come Marinetti con i futuristi, come Mazzini con la Giovane Italia e la Giovane Europa. Oggi finalmente Angelo Crespi, che è uno dei co-fondatori, viene nominato direttore di Brera, Alessandro Giuli sta al Maxxi, Giampaolo Rossi guida la Rai, Federico Mollicone è presidente della commissione Cultura della Camera».
In ultimo, lei si sente un intellettuale di peso, un maître à penser della destra?
«Sono un operaio della nostra cultura, son come un artigiano che sta in laboratorio e lavora ogni santo giorno: puoi creare un’opera d’arte o una schifezza, ma l’importante è che continui a creare. Gli artisti non sono mai ricchi e famosi, ma hanno un compito che si risolve in una bellissima frase di Gabriele D’Annunzio: bisogna fare della propria vita un’opera d’arte» .