La fascinazione della comunicazione digitale e la seduzione che esercita il linguaggio “liquido” sono uno dei problemi strutturali della società post moderna. Sono stato a New York e a Toronto in questi giorni, per incontri istituzionali e di natura politica. Appena atterrato ho avuto immediatamente problemi con il mio telefono: in gergo tecnico mi è stato “buggato” completamente whatsapp, ciò che mi ha impedito di accedere ai messaggi in entrata e di rispondere, dunque, in tempo reale. Situazione anomala in un tempo in cui siamo abituati alla comunicazione estemporanea come unico metodo per comunicare, raccontare, dialogare.
Oramai le nostre relazioni sono fatte di spunte grigie, spunte blu… trascorriamo 9/10 ore sempre col telefono cellulare in mano, diventato oramai un’appendice del nostro corpo. Abbiamo sviluppato una dipendenza dalla tecnologia e dalla realtà illusoria che essa ci propina. Siamo riusciti a diventare schiavi della tecnologia, anziché dominatori.
Tornando poi in Italia, dopo aver resettato e successivamente ripristinato il sistema, ho ripensato molto al tenore di alcuni messaggi che mi erano arrivati sull’app: “Una volta rispondevi”; ”Eh ma una volta eri un amico”; “Adesso che sei a New York non mi degni di una risposta”; “Ma ti ho fatto qualcosa?”; “Quando ci sono le elezioni rispondi subito ora no”.
E la cosa più paradossale è che, buggato whatsapp, risultavo essere sempre online, dando ai diversi mittenti la sensazione di non avere voglia di leggere e rispondere.
Eppure, in quel frangente, nessuna telefonata, nessun desiderio di sentire la voce, perché oramai la comunicazione si esaurisce in azioni automatiche ripetitive cui corrispondono reazioni altrettanto automatiche e ripetitive, secondo un meccanismo comportamentale oramai standardizzato, poco incline alla riflessione, alla meditazione, al ragionamento.
Non ragioniamo più. Agiamo meccanicamente, animati da un determinismo che non governiamo più ma da cui siamo governati, fagocitati da un mondo digitale che imponendo una comunicazione veloce, smart, estemporanea, uccide i legami sociali, mortifica la capacità di dialogo e non educa più all’ascolto rispettoso dell’altro. La comunicazione è voce, è incroci di sguardi, è gestualità spontanea, è contatto, è estrema armonia fra gli interlocutori, è coesione sociale, è sentimento che genera sensazioni.
Ecco perché Paolo Crepet ha perfettamente ragione quando dice che se non rispondi immediatamente su whatsapp metti addirittura in discussione il pensiero degli altri su di te. Siamo la civiltà dei like, del consenso virtuale, anche perché un dislike è pericoloso. Per dire no a qualcosa devi formulare una teoria e, oggi come oggi, è molto più facile dire sì che dire no.
Non so dove arriveremo in questo modo ma sono sicuro che le nuove generazioni saranno la proiezione – ahimè naturale – di un sistema in cui ognuno sarà vittima e carnefice di se stesso.