Le radici profonde delle fiere del libro

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La pandemia, con il suo seguito di crisi diffusa, ha riproposto la questione dell’utilità – commerciale, prima ancora che culturale – delle fiere e dei festival del libro. E molti, tra amministratori locali e politici nazionali, si sono trovati a sottolineare la scarsa utilità e la ridotta pervasività di queste occasioni di promozione della lettura. Ma il problema eluso da parte di costoro è invece il problema ‘identitario’ dei festival e delle fiere: se commercialmente una fiera non sempre costituisce occasione di lucro per chi vende, e se non sempre i festival giungono a segno nello stimolare curiosità e letture, è perché in tutti questi casi essi vengono pensati, programmati e gestiti senza tener conto di quanto tali circostanze costituiscano occasione di identificazione collettiva con il luogo e la comunità locale.

Il ruolo dei festival, come di ogni altra manifestazione “collettiva” che riguardi i libri o la lettura (premi, rassegne, reading ecc.), è infatti fondamentale nel processo di crescita e consapevolezza culturale di una comunità. È un po’ il momento liturgico più alto della celebrazione laica del libro: quello che, generalmente, è percepito come uno strumento d’uso in solitaria, durante i festival o le rassegne, si trasforma in una occasione di partecipazione e di condivisione di una intera comunità (quella dei lettori) capace di attrarre a sé anche l’interesse e la curiosità degli altri (i non lettori). In questo senso, i festival non sono tanto importanti per la ‘diffusione’ del libro, quanto per la loro ‘celebrazione’: che significa il veder celebrato, in un unico momento, il valore del libro socialmente riconosciuto insieme al valore della comunità locale che intorno alla celebrazione del libro si riunisce e si riconosce.

Insomma, i festival – che siano occasione mondana o fiere commerciali – sono i momenti in cui i libri escono dagli scaffali (e dalle sfere solipsistiche di consumo di lettura) e si fanno presenza importante tra le persone, rappresentandone l’elemento di connessione vera e profonda, la possibilità del radicamento nel luogo, l’opportunità di un approfondimento verticale delle radici e dell’identità.

Proprio per la natura ‘celebrativa’ del libro, i festival costituiscono anche un momento topico della vita di una comunità: momento in cui ci si riconosce, socialmente ed economicamente, all’interno della stessa rete di conoscenza. Certamente, come tutte le occasioni di socialità e condivisione questo porta con sé l’opportunità della crescita economica sia perché ogni evento di condivisione sociale comporta produzione e consumo sia perché genera il riconoscimento di nuovi bisogni e di nuove percezioni. Bisogni e percezioni che si riconoscono come tratti comuni ad una collettività locale, che inducono aggregazione e solidarietà, che profilano e definiscono identità personali e collettive, che garantiscono l’adesione totale dell’elemento umano all’elemento del paesaggio (anche e soprattutto culturale), che permettono di approfondire e rinnovare le radici profonde dell’appartenenza comunitaria: questo sono i “borghi identitari” e a questo servono le occasioni collettive di celebrazione del libro e della lettura che lì vi si celebrano.

L’Italia è ricchissima di fiere e rassegne del libro, ma queste funzionano solo quando mettono al centro della loro stessa esistenza l’esistenza della comunità locale: Caccuri o Vibo Valentia, in Calabria, Pescasseroli o Casoli, in Abruzzo, Trapani, Palermo o Marina di Ragusa in Sicilia, e Iglesias o Villamassargia in Sardegna e Polignano in Puglia, Chiari in Lombardia, Gorizia in Friuli, Civita di Bagnoregio nel Lazio, come tutte quelle città identitarie disseminate nell’Italia intera ospitano fiere o festival o rassegne del libro con una forte connotazione locale, con profondi legami con la comunità del “borgo”, rispondono a bisogni e percezioni della collettività che vi partecipa e approfondiscono e rinnovano l’anima identitaria del luogo, alimentando le radici profonde da cui nascono. E noi lo sappiamo con Tolkien: le radici profonde non gelano.

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