L’emergenza Coronavirus è innanzitutto un disastro politico per il paese

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In questi giorni di caos da Coronavirus, chissà perché, mi è ritornato alla mente un episodio politico di circa dieci anni fa, quando l’allora ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, poeta gentile e uomo di corte compito, fu costretto a dimettersi a causa di alcuni calcinacci caduti da un muro degli scavi di Pompei, in seguito alla canea mediatica scatenata contro di lui. Il povero Bondi visse come un sopruso il linciaggio indiscriminato contro la sua persona scatenato dalla sinistra, che ne ottenne la remissione del mandato, manco fosse lui il custode o il sovrintendente del sito archeologico.

A distanza di due lustri l’Italia è diventata un paese diverso, in cui chiunque assuma un atteggiamento critico nei confronti del governo viene accusato di essere uno “sciacallo” o, nella migliore delle ipotesi “un seminatore d’odio”, comunque un soggetto privo di senso di responsabilità. E infatti dal mainstream italiota nessuno si è sognato, non dico di chiedere le dimissioni, ma nemmeno di provare a suggerire una perplessità critica nei confronti della gestione dell’emergenza Coronavirus assunta dal governo presieduto da Giuseppe Conte.

La vulgata asserisce, infatti, che il diffondersi dell’epidemia non è colpa dell’esecutivo, ma una catastrofe naturale – come se invece la pioggia all’epoca caduta sulle rovine di Pompei l’avesse scatenata Bondi con qualche suo provvedimento maldestro – salvo poi leggere sulle agenzie le osservazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul demagogico blocco dei voli dalla Cina, non accompagnato dalla misura davvero decisiva, ossia la quarantena nei confronti di tutti coloro che arrivavano in Italia dall’ex Celeste Impero, con volo diretto o con doppio o triplo scalo. Un provvedimento assunto da tutti i paesi occidentali, che infatti non vivono l’imbarazzante condizione di essere il terzo paese, dopo Cina e Corea del Sud, più infettato del globo.

L’OMS non ha mancato, peraltro, di sollevare un’altra pesante perplessità nei confronti di Roma, ovvero di non essere stata in grado di individuare il cosiddetto “paziente zero” dei focolai lombardo-veneti, impresa riuscita invece, per esempio,alla Gran Bretagna allorchè era stato rilevato un piccolo focolaio inglese.

Ciò che però da un punto di vista politico-amministrativo suscita maggiore sgomento è stata l’incapacità da parte del governo centrale di dare un coordinamento unitario all’intero paese su come affrontare l’emergenza: per alcuni giorni, mentre il presidente del Consiglio continuava a presentarsi dinanzi alle telecamere, con dichiarazioni confuse e talvolta contraddittorie, ogni presidente di Regione, ogni sindaco, ogni preside, ogni sovrintendente ha emanato determine e provvedimenti in totale autonomia, a seconda della propria sensibilità politica, evidentemente anche perché mancavano disposizioni chiare e ritenute davvero all’altezza della situazione da parte dell’autorità centrale.

Insomma un disastro, un’immagine del paese di fronte al mondo da “Stato fallito”, in cui ogni soggetto provvisto di un pizzico di pubblica autorità faceva a modo suo.

Non è mancato, peraltro, il gioco preferito da un certo modo di comunicare proprio dei Cinque Stelle, ovvero “lo scaricabarile”, con il premier impegnato non ad assumersi, insieme al suo ministro della Salute, le sue responsabilità oggettive, ma a polemizzare con gli enti locali e con le autorità sanitarie dell’Ospedale di Codogno.

E mentre si consuma la compiacente sceneggiata televisiva della sequela di interviste del presidente Conte, un terzo del territorio nazionale è di fatto bloccato, Piazza Affari è crollata in un sol giorno di oltre 5 punti, il paese si avvia verso una drammatica recessione e il mondo intero, evidentemente per nulla rassicurato dalle dichiarazioni ufficiali del nostro esecutivo, sempre più privo di credibilità internazionale, ci isola trattandoci da appestati.

Forse se nelle scorse settimane il dibattito pubblico si fosse focalizzato sulle misure da adottare, dando ascolto ai moniti di scienziati come Roberto Burioni o Ilaria Capua, invece di intestardirsi nel cercare un sedicente “razzismo” nelle legittime preoccupazioni manifestate dalla maggioranza degli italiani, non saremmo giunti a questo punto.

Si continua a dire che il panico è ingiustificato, perché in fin dei conti il virus ha sintomi di tipo influenzale e la mortalità è decisamente più bassa di quella della SARS (il 2% a fronte del 10%) e limitata a soggetti già molto fragili a causa di altre patologie. Insomma più che di un’epidemia si tratterebbe di un’infodemia (determinata peraltro dalle misure draconiane e senza precedenti assunte sin da subito dal governo cinese, con una profilassi in stile holliwoodiano di cui ancora ci sfuggono pienamente le ragioni).

Ma se così è, a maggior ragione, la gestione politica delle circostanze risulta fallimentare e richiederebbe non unilaterali richiami all’unità nazionale, non atteggiamenti censori nei confronti di chi si pone domande e solleva legittime critiche, ma un passo indietro da parte di chi ha dimostrato inadeguatezza di fronte all’emergenza e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori, politici e non, coinvolti.

Perché qui la faccenda è seria e anche solo un mese in queste condizioni può significare per l’Italia un disastro senza precedenti. Altro che abolire la povertà.