A Striscia sbugiarda i furbetti con ironia: Max Laudadio racconta il debunking culinario

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Alessandro Sansoni Mariano Sisto

Quello di Max Laudadio è un volto oramai più che familiare, che entra ogni sera nelle nostre case da 17 anni. Con le inchieste andate in onda sul tg satirico “Striscia la notizia” ha dato un nome e un volto a impostori, truffatori e ogni ridda di “furbetti”, da quelli del cartellino a ogni categoria di nuovo conio. Nel numero dedicato alla libertà d’espressione, intervistiamo chi del debunking ha fatto una missione meritoria e ininterrotta.

Rovesciamo il cannocchiale per puntarlo sul tuo tavolo di lavoro: quali sono i ferri del mestiere che ti tornano utili nel tuo lavoro a Striscia?

Determinazione, volontà, non avere paura, sono tutte doti che assimili a forza di esercitare la professione. Ma se c’è qualcosa che non cresce spontaneamente e che non si impara, quello è l’avere dei valori. E io credo che il mio più importante grimaldello sia l’onestà intellettuale. Bisogna credere nei valori che il programma porta avanti. Quando andare in onda ha smesso di rappresentare una novità, ho realizzato di voler continuare a fare questo mestiere  per fare del bene alle persone. Questo comporta un tipo differente di popolarità per cui la gente, per strada, piuttosto che strapparsi i capelli ti dice semplicemente “grazie”. Andare in onda, per me, significa aver aiutato qualcuno.

Scovare fake news è il tuo pane quotidiano. Come valuti il fenomeno da un punto d’osservazione privilegiato come il tuo?

Fake news ce ne sono sempre state, ma oggi assistiamo a un picco di iniziative che giocano soprattutto sul coronavirus. Personalmente ho cominciato a occuparmene da qualche anno, con una rubrica in cui ne scovo di alcune che abbiano a che fare con il comparto alimentare. Il suo titolo “È tutto un magna magna” scimmiotta, sì, le rubriche gastronomiche dei telegiornali, ma mette anche in evidenza il fenomeno lucrativo dietro le false notizie. È bene sottolinearlo: le fake news non nascono per divertimento, c’è gente dietro che guadagna milioni di euro. Il valore aggiunto dei servizi che giro sta proprio in questo: oltre a scovarle, spiegare in che modo questi personaggi ne traggano profitto, tramite inserzioni pubblicitarie o altrimenti. È un sistema diverso per mettere in guardia dalle truffe; è una maniera per rendere al telespettatore una giusta verità.

Qual è l’insidia maggiore dell’andare a caccia di fake news?

Probabilmente il fatto che siano tecnicamente realizzate molto bene. In queste settimane, ad esempio, sto trattando di video molto ben confezionati che invitano alla realizzazione di ricette culinarie in modi non convenzionali. Ebbene, a guardare i video sembra che tutto sia facile e che tutto funzioni, ma se ci provate voi a casa vi esplode il microonde o dovete buttare la padella. In questi giorni di quarantena in cui molti, me compreso, si stanno cimentando maggiormente coi fornelli, video come questi possono essere molto pericolosi. Tant’è vero che mia moglie non vede molto di buon occhio i miei esperimenti.

 C’è un lato meno esposto di te che vorremmo portare a galla: hai vissuto un’esperienza da missionario in giro per il mondo. Cosa ti ha spinto a partire?

All’inizio me ne vergognavo, oggi lo dico con grande tranquillità. È stata la fede. Sono sempre stato ateo, miscredente, contro tutto e tutti. Credevo di bastare a me stesso. Poi, cinque anni fa, è arrivata una fede che non cercavo. Mi sono trovato in ginocchio a pregare, e da quel momento ho del tutto rivisto alcuni aspetti della mia vita. Devo a TV2000 l’opportunità di aver viaggiato per raccontare le missioni, compito che ho però accettato a patto che potessi io stesso vivere la mia esperienza da volontario. Sono stato ad Haiti, nella baraccopoli più pericolosa del mondo dove non entra neanche l’ONU; a Benin, un posto che neanche sapevo dove fosse, e dove c’è un unico ospedale che serve ben 4 Stati; quindi in Giordania, dove tre suore cristiane della confraternita del SERMIG gestiscono un centro con 250 disabili.

Come si torna da simili esperienze?

Ricordo di essermi guardato allo specchio, e di essermi chiesto “che vita mai conduciamo?”. In quei paesi ho visto la disperazione e al tempo stesso la felicità. Mentre noi siamo abituati ad avere tutto, ci sono paesi dove il nostro tutto equivale a niente. E se loro, con quel niente, possono giocarci per ore, noi a casa abbiamo cinque computer, sette telefoni, e non riusciamo a comunicare. Sul braccio, vedi, ho tatuato tre parole: responsabilità, misericordia, allegria. Sono di San Giovanni Bosco: le disse a un bambino rivelandogli il segreto della felicità. Sono diventate la mia missione di vita.

A cosa ambisci?

A provare a diffondere il messaggio che, senza andare troppo lontano, con azioni semplici, si può fare quello che un uomo vestito di stracci ha fatto per noi duemila anni fa. A volte basta anche solo un sorriso; un sorriso cura tutto. Applicando queste piccole regole ho trovato quella parola che tutti cerchiamo: la felicità. Perché non è vero che la felicità non esiste, è che la cerchiamo nei posti sbagliati.