Mentre l’Italia è bloccata dal coronavirus, in Libia la politica corre

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Mentre l’Italia continua ad essere bloccata dall’emergenza coronavirus, il resto del mondo sembra non essersi fermato completamente, nonostante l’evento pandemico interessi ormai tutti i cinque continenti del globo. E proprio a due passi dalla penisola, in quella Libia da sempre cruciale dal punto di vista strategico per il nostro paese, gli avvenimenti stanno prendendo in questi giorni una piega incalzante.

Dopo settimane di stallo seguite alla sua offensiva su Tripoli e sanguinosi combattimenti, il 28 aprile il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), che controlla la Cirenaica e l’intera Libia Orientale, si è autoproclamato leader dell’intero paese, sostenendo di aver ottenuto un “mandato popolare”. L’annuncio è stato dato attraverso il canale televisivo al-Hadath, vicino al generale. In particolare Haftar ha dichiarato definitivamente decaduti gli accordi di Skhirat che nel 2015 avevano dato vita al Governo di Accordo Nazionale (GNA) presieduto da Fayez al-Sarraj e riconosciuto dalla comunità internazionale. In base a quegli accordi il mandato del GNA avrebbe dovuto scadere nel dicembre 2017, prorogabile di un altro anno, con l’obiettivo di redigere una nuova Costituzione e indire libere elezioni.

“L’esercito Nazionale Libico – ha dichiarato Haftar – è orgoglioso di ricevere questo mandato popolare che gli assegna la responsabilità di conseguire un obiettivo storico”, ovvero unificare e governare la Libia. “Noi accettiamo il mandato e la fine degli accordi di Skhirat”, ha aggiunto.

Il Presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh Issa, che nei giorni scorsi aveva lanciato una nuova iniziativa in otto punti da sottoporre alle Nazioni Unite per porre fine alla crisi nel paese, giudicando ormai “fallito” il dialogo politico inter-libico, ha commentato l’annuncio di Haftar, sostenendo che esso non è in contraddizione con la sua road map.

Saleh ha spiegato che la sua iniziativa si basa su norme e consuetudini libiche e ha ribadito che la Libia non si sente isolata dalla comunità internazionale di cui essa è parte integrante. E pur precisando che la soluzione della crisi è nelle mani dell’ONU ha ribadito che ormai l’accordo di Skhirat va considerato decaduto e che un nuovo percorso è possibile solo se basato sulle tradizioni e i costumi del paese.

A tal proposito va segnalato come numerose tribù e sceicchi libici, che costituiscono la trama fondamentale della società libica, appoggiano l’ipotesi di offrire proprio ad Haftar lo scettro del comando. In particolare, il Consiglio degli Anziani e degli Sceicchi di Tarhuna, il 23 aprile, ha diffuso un documento nel quale si afferma: “Offriamo al Feldmaresciallo Khalifa Haftar il nostro pieno mandato ad assumere il controllo e la guida della Libia, affinchè proceda a redigere una Carta Costituzionale che sia garanzia per tutti i cittadini e per la società civile libica nel suo complesso”. Compito di Haftar dovrebbe essere quello di “guidare il processo di transizione con lo scopo di ricostruire le istituzioni politiche del paese, renderlo sicuro grazie all’impegno dell’Esercito Nazionale Libico, garantendone i confini e l’eliminazione del terrorismo dall’intero territorio nazionale”.

La tesi di fondo, alla luce di uno scenario che vedrebbe concordi attorno alla leadership del generale, la maggioranza delle tribù e degli sceicchi, oltre al Parlamento di Tobruk, è che non si tratti di un Colpo di Stato militare, ma di un mandato popolare conseguito sulla base delle usanze libiche, in virtù dell’esaurimento della base legale su cui si è fondato sinora il Governo di Accordo Nazionale, ovvero gli accordi di Skhirat.

Sotto questo punto di vista è particolarmente significativa la dichiarazione ufficiale rilasciata dal portavoce del LNA, il generale Mahmad Mismari: “Invito il Governo di Accordo Nazionale e tutte le fazioni presenti a Tripoli a consentire che si tenga un referendum, sotto la supervisione dell’ONU, in merito alle disposizioni emanate dal comandante in capo del LNA (il generale Haftar n.d.r.). Qualora questa iniziativa ottenesse il consenso della Comunità Internazionale, le consultazioni dovrebbero tenersi in tutte le aree sotto il controllo delle milizie, ovvero Tripoli, Misurata, Zintan, Homs eccetera, monitorate dall’ONU e senza interferenze da parte dei gruppi militari o di Sarraj. Risulterebbe allora evidente che il 98% degli abitanti è favorevole alle disposizioni”.

Al di là, dunque , di quanto sta accadendo dal punto di vista militare, l’impressione è che significativi cambiamenti di natura politica stiano interessando la Libia.

Sarraj, infatti, si sta rivelando un interlocutore sempre meno affidabile tanto per l’Italia, quanto per la comunità internazionale: recentemente ha ufficialmente rigettato la missione europea nel Mediterraneo IRINI, fortemente voluta da Roma, che ha il compito di assicurare l’embargo del traffico di armi verso la Libia. In una nota inviata il 24 aprile alle Nazioni Unite il primo ministro del GNA ha affermato chiaramente di opporsi all’embargo e ha accusato Haftar di ricevere armamenti e attrezzature militari tramite le frontiere terrestri della Libia e per via aerea. Uno sgarbo diplomatico non da poco verso l’Italia, che è a capo della missione.

Il nodo di Gordio sta nel fatto che il potere di Sarraj oramai si basa essenzialmente sul sostegno fornitogli dalla Turchia, che per mesi ha trasferito armi, strumenti sofisticati e perfino ex jihadisti veterani del conflitto siriano in Tripolitania. L’obiettivo di Ankara, infatti, resta, in un’ottica neo-ottomana, favorire lo smembramento della Libia in tre parti autonome (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), una strategia che stride fortemente con l’interesse nazionale dell’Italia, per la quale salvaguardare l’integrità dello Stato libico resta un obiettivo fondamentale.