E’ la sera del 13 maggio 1799, la millenaria Abbazia di Casamari è avvolta nel silenzio. Nella chiesa, si sente soltanto il canto dei monaci intenti nella preghiera serale della Compieta che chiude la giornata lavorativa.
In quel momento irrompono nell’Abbazia venti soldati francesi in fuga da Napoli, dove è appena caduta la Repubblica Partenopea, alla cui difesa hanno partecipato. Come si può ben immaginare, i soldati sono stanchi ed affamati per il lungo viaggio.
L’esercito francese è da tanto tempo presente in Italia e sono ormai tantissime le notizie poco rassicuranti sulle devastazioni compiute ai danni delle città vicine e delle chiese e dei monasteri in particolare. Era stata profanata e saccheggiata l’Abbazia di Montecassino. Erano state devastate le cittadine di Aquino, Roccasecca ed Arce. La vicina cittadina di Isola Liri, nel giorno di Pentecoste, era stata teatro di violenti saccheggi, con profanazione di Chiese. Nella chiesa di San Lorenzo erano state trucidate trecentocinquanta persone. Proprio per questo motivo, alcuni monaci, tra cui il Priore, hanno lasciato l’Abbazia. Altri monaci però non hanno abbandonato la loro casa e sono rimasti a svolgere le loro ordinarie occupazioni, nonostante alcuni di loro avessero addirittura motivi ulteriori di temere i francesi. C’era infatti un monaco francese che non aveva giurato sulla Costituzione, un monaco che aveva disertato dall’esercito repubblicano e un monaco appartenente all’impero austriaco (accerrimo nemico della Repubblica di Francia).
Nonostante ciò, i monaci presenti, applicando la regola di San Benedetto e la carità cristiana, accolgono benevolmente e rifocillano i soldati, dando da mangiare agli affamati.
Purtroppo, però, gli allarmi si rivelano fondati. Infatti, una volta rimessi in forze, i soldati francesi pensano bene di mostrare la loro gratitudine passando al saccheggio e al massacro. I francesi sono furie scatenate. L’unico testimone oculare della vicenda, un monaco sopravvissuto, parla di “venti leopardi”. Quindi gli aggressori lasciano l’Abbazia con il loro bottino.
Durante la notte muoiono, per le ferite ricevute, padre Domenico Maria Zawrel, fra Albertino Maria Maisonade, fra Modesto Maria Burgen e fra Maturino Maria Pitri. I primi due vengono presi a sciabolate mentre, in mezzo alla confusione, stanno raccogliendo pacificamente le Ostie consacrate, gettate a terra durante il saccheggio. Fra Maturino viene colpito da un colpo di archibugio nel corridoio, riesce a trascinarsi nella sua cella e qui muore. Fra Modesto viene inseguito ed ucciso nel corridoio. Il nuovo priore Simeone Maria Cardon, invece, subisce barbaramente un colpo di accetta in testa e l’amputazione delle dita e muore alle sette del mattino del giorno seguente, perdonando i suoi aggressori.
Fra Zosimo Maria Brambat, gravemente ferito da colpi di sciabola e di fucile, ma ancora vivo, si nasconde per tre giorni. Poi cerca di dirigersi al vicino paese di Boville Ernica per ricevere l’Unzione degli Infermi ma, fatti pochi passi, muore al di fuori dalle mura dell’abbazia.
Le spoglie dei poveri monaci sono oggi sepolte nella navata destra della Chiesa abbaziale. Il 17 aprile del 2021, con una splendida cerimonia tenutasi presso l’Abbazia di Casamari, si è concluso il processo per la loro beatificazione.
Quello appena raccontato non è soltanto uno dei tantissimi casi di martirio religioso che la storia ha purtroppo conosciuto ma è anche uno dei molti episodi di violenza e di rapina avvenuti durante le guerre napoleoniche. Anche per questo lo vogliamo ricordare, in occasione della ricorrenza dei duecento anni dalla morte di Napoleone. Non si trattò soltanto di singoli episodi criminali compiuti da soldati sbandati. Infatti, come è stato dimostrato da storici autorevoli, durante le invasioni napoleoniche fu attuato sistematicamente, servendosi anche della furia dei soldati, un piano finalizzato a depredare i territori occupati e a cancellare le identità, le tradizioni locali e tutto ciò che (a cominciare dal sentimento religioso) non era ritenuto funzionale ad un nuovo ordine che si voleva instaurare.
“Fu vera gloria ?” si domandava Manzoni nell’ode “Il cinque maggio”. Nel pronunciare l’ardua sentenza non si può non tenere conto di storie come quelle dei poveri martiri di Casamari.















