Sulle tracce di un giovane talento: Giovan Battista Lillo Odoardi

0

Attore Calabrese, cresciuto tra libri, palcoscenici e memoria familiare, sceglie l’arte come vocazione civile. Con disciplina e passione, attraversa il presente senza scorciatoie, inseguendo verità più che successo

Roma, in una mattina assolata nel quartiere Trieste, seduti al tavolino del mitico bar Romoli, ho incontrato Giovan Battista Lillo Odoardi, un giovane attore, classe 2004, erede di una famiglia nobiliare che ha scelto di declinare la sua vitalità nell’arte.
Lontano dalle convenzioni, vicino alla verità, con voce lucida e ferma mi racconta: «Era estate, avevo tredici anni. Già allora sentivo forte l’attrazione per l’arte: pittura, cinema, recitazione. Ma fu un corso, iniziato l’anno dopo durante il liceo, a segnare davvero il mio cammino. Da allora ho cercato in ogni modo di lanciarmi nel mondo dello spettacolo, del teatro, del cinema, anche quello locale, studiavo
al classico e volevo conciliare il rigore degli studi con la passione per la scena, attingendo ai miti antichi per costruire personaggi e visioni»

Le prime esperienze professionali arrivano con una piccola emittente locale, Wedding TV. «Il primo monologo l’ho scritto io, sul tema del dono», ricorda. «Poi ho avuto l’onore di sponsorizzare uno spettacolo al Teatro Rendano di Cosenza. Parlare in televisione, vedere il pubblico… fu un’emozione irripetibile».
Oggi, a vent’anni, Giovan Battista si divide tra i set cinematografici e gli studi universitari: è iscritto a “Lettere, Musica e Spettacolo” alla Sapienza, con l’idea di diventare un giorno anche critico teatrale. Fra i progetti imminenti, un piccolo ruolo nel nuovo film di Michela Andreozzi, Unicorni, e la partecipazione a un progetto top secret  destinato a Cannes e Venezia.
A teatro ha debuttato da protagonista nel noir Il grande buio di Igor Maltagliati — già autore di Nella banalità del crimine — in scena a ottobre al Teatro Rendano.
Alla domanda su quale personaggio sogni di interpretare, risponde evocando il suo idolo, Gian Maria Volonté: «Mi affascina il mondo della politica, della tensione civile. Ogni personaggio è come un figlio, cerco di regalargli qualcosa di mio. Amo Cloud Atlas delle sorelle Wachowski, Santa Sangre di Jodorowsky, la trilogia del dollaro di Sergio Leone».

Dal punto di vista tecnico, sta approfondendo il metodo Meisner presso il laboratorio di arti sceniche di Massimiliano Bruno. «Il teatro mi permette di aggiungere, il cinema mi chiede di togliere. Cerco di adattarmi e dare sempre il massimo». Ha studiato anche con Aurin Proietti, seguendo workshop intensivi.

Non solo attore, ma anche collaboratore dietro le quinte: «Un anno fa Giulio Base mi affidò il compito di trovare un attore con le fattezze di Gesù per La versione di Giuda, con Rupert Everett e Abel Ferrara. Lo trovai in Vincenzo Galluzzo. Come ringraziamento, mi fecero recitare in una scena con Ferrara stesso».

La sua forza nasce anche da una famiglia presente e sostenitrice. «Fin da bambino una persona mi è sempre stata accanto: mia nonna, Annamaria Bevilacqua. Oggi è il suo compleanno. A lei devo tutto. Anche nei momenti peggiori, quando tutti mi voltavano le spalle, lei mi ha indicato altri colori».

Una nonna dal profilo singolare: la sua vita è consacrata alla cultura. Moderna mecenate, figlia d’arte a sua volta, suo padre Ferdinando Bevilacqua, raffinato proprietario terriero e artista, intrecciò a Roma il suo talento giovanile con quello di Vittorio De Sica per poi rientrare in Calabria, per costruire, concentrare energie, visione, passione in progetti culturali nella sua terra d’origine.
Anna Maria raccoglie l’eredità paterna con grazia e fermezza: Il teatro è da sempre la sua casa ideale, il luogo dove sogno e realtà si stringono la mano. Non si limita ad amare l’arte scenica: la sostiene, la rende possibile. È grazie anche al suo impegno concreto che nasce il laboratorio teatrale Le Officine Telesiane, fucina di nuovi talenti per la scena calabrese.
La musica, sorella del teatro, la vede protagonista nell’Associazione Musicale Polimnia, dove promuove concerti, sostiene l’orchestra giovanile, alimenta la fiamma classica contro le mode passeggere.
E ancora: la cultura del territorio, la difesa della memoria, l’invenzione del futuro. È tra i promotori dell’AIParC, Associazione Italiana Parchi Culturali, che custodisce e rilancia il patrimonio naturale e artistico.
Una donna di visione, che con discrezione e tenacia intreccia il teatro, la musica, la terra stessa, fedele alla vocazione familiare di credere nell’arte come possibilità di elevazione e costruzione collettiva. È lei a riconoscere per prima il talento di Giovan Battista: da bambino mostrava già quel guizzo teatrale che lo avrebbe condotto sulla strada faticosa dell’attore.
Il suo percorso è appena iniziato, ma promette di essere luminoso: Giovan Battista Lillo Odoardi affronta il mondo dello spettacolo con passione, dedizione e una profonda consapevolezza delle proprie radici.

Mentre ci salutiamo, osservo questo giovane talento e comprendo che il segreto non è solo nel talento o nell’ambizione, ma nella fedeltà a una voce interiore che pochi sanno davvero ascoltare.
Giovan Battista è uno di questi pochi: in lui convivono la leggerezza dell’avvenire e la gravità della memoria, la corsa e la radice. Non si limita a inseguire un sogno: lo abita, lo plasma con mani antiche e sguardo aperto sul mondo nuovo.
Nei suoi gesti, nella sua parola già consapevole, si avverte quella tensione formidabile che fa dell’arte non un ornamento, ma una sfida e una promessa: raccontare la vita nella sua interezza, senza sconti né infingimenti.
Il talento vero non è mai isolato: si radica in una comunità, si nutre di una storia, si proietta in una visione collettiva.
E ogni volta che un giovane sceglie l’arte — con onestà, con fatica, con amore — noi tutti possiamo riconoscerci un poco di più.
Perché chi sa restare fedele a se stesso fin dall’inizio, prima o poi trova la propria voce autentica. E quando questo accade, anche il mondo più distratto finisce per fermarsi ad ascoltare.

In Giovan Battista Lillo Odoardi si compongono, con naturalezza, rispetto per la tradizione e urgenza di innovare.
L’eredità familiare, il rigore degli studi, l’esperienza su set e palcoscenici delineano un cammino ancora in fieri, ma già orientato da una precisa volontà: fare dell’arte non un rifugio estetizzante, ma un mestiere serio, una scelta di vita consapevole.
Nel suo dialogo si coglie quella rara lucidità che distingue chi ha capito che il talento senza disciplina si consuma, mentre la passione nutrita dal lavoro quotidiano costruisce futuro.
Roma, la Calabria, il teatro, il cinema, l’università: ogni tessera del suo percorso obbedisce a un unico principio, quello della crescita autentica, senza scorciatoie e senza illusioni di gloria facile.
In un tempo che celebra l’apparenza e consuma i sogni, incontrare un giovane che scommette sulla sostanza — sulla cultura, sull’impegno, sulla fatica — è un raro segnale di speranza.
E sarà su questa promessa, ancora in cammino ma già carica di senso, che varrà la pena, un giorno, tornare a scrivere.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui