Suonano “Bella ciao” e il prete li caccia via: «Qui no!»

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Una banda ingaggiata dal Comune di Padova ieri sera intorno alle 22 ha iniziato a suonare “Bella Ciao” sul sagrato del Duomo ma il prete, don Gianandrea Di Donna, l’ha cacciata via dicendo: «Qui, no. Né rosso né nero, qui» (Redazione)

Qui, no. Né rosso né nero, qui”. Qui, per don Gianandrea Di Donna, significa un posto che è del Creatore del cielo e della terra: il cuore della Padova che crede e spera. Come fa a permettere a quattro ragazzi che cantano con la solita rabbia, ormai irrigidita nei decenni d’uso, “Bella ciao”, che non è più sangue e libertà ma sa tanto di dispettuccio ideologico, di agitarsi proprio lì, in mezzo a piazza Duomo? “Qui no” dice. La sua voce taglia il buio delle dieci di sabato sera. “Né rosso, né nero. Qui.”

La band smette di suonare. Qualcuno fischia. Ed ecco pronto il video, affidato alla vertigine delle condivisioni e già finito sui giornali. La band era stata incaricata di suonare lì dal comune di Padova. Ma cosa può importare a don Gianandrea il plico delle autorizzazioni burocratiche? La fragile speranza di rimpiazzare con un po’ di musica il solito spaccio, le solite risse, i soliti cocci di bottiglia sparpagliati davanti alla facciata scabra del Duomo, la solita cenere di innumerevoli canne, il solito vomito da scansare al mattino, nelle ore in cui la Chiesa canta, con le Lodi, l’irrompere eternamente dinamico, eternamente salvifico del Cristo crocifisso e risorto? Quando celebra “la ribellione credente” (così si intitola un sublime ciclo di meditazioni di don Gianandrea sulla Liturgia delle ore)?

Bisogna capire cos’è per lui quel “qui”, cosa dovrebbe essere. È tanta la confusione che ci rimbomba nelle orecchie che non abbiamo più idea di cosa significhino i dogmi, la storia, i riti del Cristianesimo. Don Gianandrea vive per tenerli vivi. Insegnando Liturgia tra le università di Padova, Venezia e Roma. Dirigendo l’ufficio a essa preposto della Diocesi di Padova. E soprattutto celebrando ogni domenica la Messa delle 11.30 in Cattedrale, dove costringe ogni suono e gesto a una limpidezza perfetta. Ma “l’odore di cose divine mette in fuga il mondo”.

Sabato sera aveva appena finito di celebrare la Veglia di Pentecoste, con la soave inclusione del battesimo di una bimba di quattro mesi. Quasi due ore di bellezza. I salmi con le musiche composte dal maestro Alessio Randon, che dirigeva anche il coro, alternati al purissimo gregoriano: quella che don Gianandrea definisce “la perfetta castità, verginità del canto liturgico”, in cui l’annuncio “non costringe, ma si coniuga alla libertà dell’uomo”. La soavità, che “ci permette di sopportare la parola di Dio, che è come spada che taglia, e leggerla ti squarta, mentre cantarla la umanizza”.

Poi il lento corteo, presagio del progresso dell’uomo in Dio, fino al Battistero, dove non c’è frammento di parete che non sia trasfigurato dagli affreschi di Giusto de’ Menabuoi, riportati allo splendore da un recente restauro di cui era proprio don Gianandrea il responsabile.

La bimba battezzata per immersione, come nei secoli eroici del primo cristianesimo, cioè morta con Cristo e risorta con Cristo, restituita alla vita in una frustata di ossigeno. E l’incenso, a velare e svelare cose troppo potenti per essere spiegate, ma che la liturgia sa presenti, lì, “qui”. Il Concilio Vaticano II spiega che i sacramenti della chiesa sono “anticipazione” della “liturgia celeste”. Vuol dire che lì, “qui”, si apre, in uno squarcio, il Paradiso. Che il coro diretto dal maestro Randon sta cantando il Sanctus insieme agli angeli e ai santi e a tutti i nostri morti, che abbiamo bisogno di sapere strappati al dolore che ci condanna, il più tremendo scacco alla nostra libertà.

È Pentecoste. La voce di don Gianandrea brucia. “Cristo ha riempito il cosmo intero della Grazia del Risorto, in modo che ogni cosa torni a essere completamente di Dio. Questo è lo scopo, il fine, il perché siamo. E gli uomini sembrano non volerlo più.” La Chiesa celebra nello Spirito Santo “quel soffio, che è Dio e noi siamo il tempio di quel soffio. E dove non c’è, tutto cade, muore, si consuma. Man mano che gli uomini sembrano volersi allontanare da Dio, sempre, drammaticamente di più, tutto diventa osceno, brutto, violento, animale.” Oh, no, non è questione di dispetti ideologici. “Qui”.

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