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I tormentoni della musica leggera iniziano l’estate in spiaggia, identità di noi italiani
La storia del nostro Paese è anche una storia di vacanze che si sposa con la musica: ogni stagione del sole ha le sue canzoni, specchio di un tempo e di una terra gattoparda dove tutto cambia per restare uguale, ma è vero anche il contrario: nell’apparente fatica, in quel correre per restare fermi, s’insinuano impercettibili mutamenti di costume, di abitudini sociali, e quindi anche di vacanze e di sonorità.
Per pochi, per pochissimi il privilegio degli ozi assolati negli anni ‘20 della Belle Epoque, acconciature alla maschietta, Fiat Torpedo e Lancia Lambda per chi può permettersele e sono i soliti, quelli che perfino dalla guerra appena archiviata sono usciti indenni se non ancora più facoltosi. Dall’America il jazz, le chançon, ma in Italia non passano o arrivano edulcorati, il tabarin fa un po’ da tramite e un po’ da censura, Louis Armstrong viene ribattezzato “Luigi Braccioforte”, Benny Goodman “Beniamino Buonuomo”, ma almeno si conoscono quei ritmi nuovi, sincopati, il charleston, anche la rumba, il fox trot. Dal tabarin alle spiagge e qui risuonano però i cantanti del regime, i Gino Bechi (Richiamo d’amore), gli Achille Togliani (Come pioveva, già del ‘18), ma, soprattutto, le canzoni regionali, l’Italia canterina del Regime è ancora un fenomeno localistico, per una Tanto pe’ cantà romana c’è una Ma se ghe pensu ligure, all’abruzzese Vola Vola risponde Napoli, ‘O Paese do sole, mentre tutto romagnolo è il ballo liscio. Senza soluzione di continuità il decennio successivo, quando tutto pare andare bene, la propaganda è pervasiva, i “Ruggenti anni Venti” lasciano posto ai coloniani Trenta, la fondazione di Cinecittà, “la Hollywood sul Tevere”, lancia il cinema dei Telefoni Bianchi e le spiagge si riempiono di appelli, Non dimenticar le mie parole (bimba, tu non sai cos’è l’amore), di Mariù scongiurate di parlar d’amore, di Trii Lescani (Tuli-tuli-tuli-tuli-tulipan potrebbe essere la madre di tutti i tormentoni), i Telefoni Bianchi sono anche un travaso di musica dai fi lm, i musicarelli e i Sapore di Mare non hanno inventato niente, e allora giù coi Carlo Buti, i Vittorio de Sica, e ancora la sessualità costretta di Ma le gambe, resiste il regionalismo del Mi porti un bacione a Firenze, ma neppure il proibizionismo può arginare lo swing, moda americana ripresa dalle orchestre imperanti dei Pippo Barzizza, dei Gorni Kramer.
L’idillio però si spezza già sullo spirare del decennio. Le leggi razziali, la guerra, in cui l’Italia entra due anni dopo, tolgono voglia e possibilità di svacanzare; non però di fare e di ascoltare musica: esordisce il Quartetto Cetra, responsabile di paginette mirabili e leggere, sulle spiagge continua lo swing più o meno edulcorato, si affaccia Claudio Villa con le sue Mandolinatelle e Scalinatelle, ma l’allegria saltellante delle Ba-ba-baciami piccina è un po’ tragica, sotto le bombe e il coprifuoco.
Tutt’altra storia nei ‘50 della ricostruzione: adesso davvero parte la moda delle scampagnate che si allungano fino al mare: non saranno ancora gli esodi di massa, ma gli arenili cominciano a riempirsi, la vocazione vacanziera si fa largo insieme alla voglia di lasciarsi alle spalle le macerie di dentro e quelle tutto intorno; il romanticismo melenso delle Colombe che volano (Nilla Pizzi), delle Più belle del mondo (Teddy Reno) convive, ma ancora per poco, con le cadenze vivaci, ritmate, che ormai dall’America del jazz e del rock and roll stanno definitivamente entrando nella genetica sonora degli italiani brava gente. E allora ecco la Tintarella di luna di Mina, la ragazza del Baby Gate, lo swingone di Fred Buscaglione, le sublimi parodie americane di Renato Carosone (Tu vuo’ fa’ l’americano…), di Nicola Arigliano (Simpatica, Carina, I sing Ammore), il rock di transizione dell’esagitato Adriano Celentano coi suoi 24000 baci, c’è perfino il futuro oroscopista Peter Van Wood degli Spaghetti cha cha cha.
Una smania di ballare, di agitarsi, di divertirsi che prepara il terreno ai primi veri tormentoni della decade seguente e qui davvero c’è da sbizzarrirsi: canzonette amabilmente sciocche, sfornate in quantità industriale da Edoardo Vianello (A-a-bbronzatissimi, Pinne Fucile ed Occhiali e un migliaio di eccetera), l’introspezione sofferta di Tenco, le varie scuole, genovese, milanese, romana, ma non è più il regionalismo di quarant’anni prima, il surrealismo polemico di Enzo Jannacci (Vengo anch’io), le prese di coscienza sessuale, come convergenze parallele, di Rita Pavone (Alla mia età) e Gigliola Cinquetti (Non ho l’età – ma non vedeva l’ora), il casco d’oro di Caterina Caselli, il beat della Equipe ‘84 che ha sempre In mente te, dei Rokes, il beat all’italiana che importa e traduce i successi angloamericani, Corvi, Dik Dik, Camaleonti, Nuovi Angeli dai motivetti irresistibili (Donna Felicità, Singapore, che ha un testo clamorosamente pornografi co sfuggito alla censura e ai più), la Bandiera Gialla che segna una vera e propria pandemia sonora anche grazie a Renzo Arbore, mentre quelli come Guccini sfondano le porte della canzone politica, sulle orme di Bob Dylan, e Lucio Battisti s’incarica di ridefinire in senso moderno, metropolitano i sentimenti, mentre i Duetti Alfa Romeo superano nelle autostrade intasate i cubi formato famiglia delle Fiat 128, delle 500, le Giardinetta e le 850, mentre chi può “si fa” la Jaguar di Diabolik e i padroni viaggiano in Mercedes (gli studenti e gli operai invece in Vespa).
Ma è nei ‘70 che tutto esplode in tutti i sensi. Se nel Paese la fregola consumistica si mescola alle contestazioni di piombo, è proprio al mare che tutti vogliono rifugiarsi lasciandosi alle spalle alienazione, tensioni, routine da inurbamento. Sanremo, il Festival, va in crisi, cambiano, di nuovo, i suoni, le atmosfere e non possono non riversarsi sugli arenili dove, è cambiata anche l’industria discografica, arriva di tutto, dallo sperimentalismo di Battiato agli Area, dal rock incazzato di Eugenio Finardi (Extraterrestre, portami via…), alla discomusic dei Bee Gees, ai Triangoli di Renato Zero, le Gianne di Rino Gaetano, i Sabati Pomeriggio di Baglioni… Le estati anni ‘70 sono un momento di grazia che vedono le uscite contemporanee di dischi destinati a restare, Bennato, Dalla, Ti amo ti di Tozzi diventa una specie di colonna sonora nazionale. E quelle estati resteranno per sempre legate a quelle voci, a quelle sonorità.
Negli ‘80 la tendenza continua ma adesso è la new wave italianizzata a spopolare: Vamos a la playa”, ed è subito mania, l’orizzonte vacanziero si dilata fino a (People from) Ibiza, l’Arlecchino psichedelico Alberto Camerini impazza con la sua Tanz Bambolina, Ivan Cattaneo, in cortocircuito, riprende le hit dei Sessanta in sonorità dance e post punk, e la sua Ragazzo di strada è fantastica. Tra gli ombrelloni rimbalzano anche il Cuccuruccuccù di Battiato, le Spiagge di Renato, la Vita Spericolata di Vasco e la Notte prima degli esami di Venditti diventa l’inno nazionale dei maturandi. Dopodiché, un lungo declino, uno sfilacciarsi di atmosfere ormai ripetitive, stanche.
Tra i Novanta e i Duemiladieci scorrono brani sempre meno incisivi, Vespe per i colli bolognesi (Lunapop), Miti effimeri e Uomo Ragno (883), ma a farla da padroni sono sempre più i ritmi sintetici d’oltreoceano. Fino alla musica senza musica delle ultime estati, al rap delle troppe parole, alla trap delle troppe pose, agli Achille Lauro e Maneskin che saccheggiano le cantine del passato, al reggaeton senza senso, alla volgarità di canzoni senza storia, le accoppiate paracule dei vecchi cammelli con i giovani inconsistenti, Boomdabash e Loredana Berté, Rovazzi e Morandi, Orietta Berti e Fedez, l’Amore e Capoeira di Giusy Ferreri che pare quasi preconizzare la tachipirina e vigile attesa. E siamo all’estate senza estate, estate in mascherina e green pass, e pare impossibile.
Siamo a un altro anno zero, ai venti di guerra. Però nessuno dica che lungo le spiagge italiane non è cambiato niente in un secolo: onda su onda, l’estate italiana ha visto passare di tutto e di più; l’unica cosa che resta uguale è l’attesa di una felicità puttana che non arriverà, lo sappiamo ma lo stesso ci piace illuderci sulle ali di un tormentone, per ritrovare una identità.
















