Pier Paolo Pasolini, un conservatore ostinatamente contro

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Sono passati 50 anni da quel 2 novembre 1975 in cui il corpo freddo di Pier Paolo Pasolini massacrato di botte e investito da un’auto venne ritrovato sulla litorale di Ostia. Una fine brutale che ha privato l’Italia di un’intellettuale scomodo, ostinatamente contro, un inattuale di cui il paese aveva disperatamente bisogno.

Poeta, regista, scrittore, Pasolini ha incarnato l’anima inquieta del dopoguerra italiano, fatto di crescita economica inattesa, con tutti i suoi cambiamenti apparentemente progressivi. Cambiamenti di cui Pasolini aveva colto l’ombra, il lato oscuro, quel «mutamento antropologico» che avrebbe cambiato per sempre il volto della nazione italiana, recidendo le sue radici identitarie, rurali, ancestrali e proiettandola verso l’età dei consumi, della plastica, della superficialità, della globalizzazione. Lui, che amava così visceralmente le proprie origini friulane con i loro usi contadini e religiosi, vedeva quel mondo antico sgretolarsi davanti all’avanzata della modernità e ne denunciò la fine. È proprio qui che viene fuori la sua anima del conservatore che oggi andrebbe riletta e rilanciata nel pantheon dei grandi italiani della cultura che hanno indicato una via più attuale che mai.

Pasolini fu l’uomo delle contraddizioni: iscritto al Partito Comunista per il suo amore verso gli ultimi, un pauperismo poco gradito a Botteghe Oscure, secondo la quale doveva trionfare l’immagine eroica, stakanovista dell’operaio, era in realtà un vero e proprio reazionario dal punto di vista marxista. Soprattutto per quell’avversione alla «mutazione antropologica» che invece secondo l’ortodossia rossa avrebbe dovuto spalancare le porte alla rivoluzione proletaria, strappando le masse contadine al loro placido e immobile «mondo antico» per proiettarle nella dimensione urbana della fabbrica dove sarebbero state irreggimentate nel partito pronte a marciare verso il Sol dell’Avvenire: una prospettiva che non poteva trovare alcuna sponda nella visione poetica e filosofica pasoliniana in cui la cascina risplende di nostalgica luce contro il grigiore dei palazzoni popolari in stile sovietico.

Fu uno spregiudicato peccatore ma con quel «Vangelo secondo Matteo» piacque perfino alla DC che all’epoca controllava rigidamente la censura cine-televisiva.

Fu un antifascista radicale, quasi fanatico, con una rabbia schiumante verso un’idea del fascismo meta-storica, idealizzata, nonostante egli avesse vissuto dall’interno le organizzazioni giovanili fasciste e soprattutto abbia dovuto subire la perdita del fratello, Guido, partigiano «bianco» assassinato dai partigiani comunisti nel 1945 in quell’eccidio della malga di Porzûs che per decenni è rimasto un buco nero nella storia della Resistenza.

Coerentissimo invece fino allo scandalo fu nella difesa dei poliziotti, uomini del vero proletariato usati come carne da macello negli scontri di Valle Giulia nel 1968, bersagliati fisicamente e moralmente da quei «figli di papà» privilegiati e viziati che costituivano l’ala più radicale e invasata del movimento giovanile di sinistra. Una fotografia di ieri ancora attuale oggi. Fu un altro dei suoi «tradimenti» verso la sinistra, uno dei tanti che non gli fu perdonato, assieme alla sua omosessualità, all’epoca «vizio borghese» per la rigida morale marxista. E chissà cosa direbbe se fosse ancora vivo della nuova ideologia gender o delle follie woke del fronte dem. Non sappiamo come sarebbe evoluto il pensiero di Pasolini se la violenza di uno dei suoi amanti (mosso da chissà quale oscuro motivo o forse aiutato da chissà quale sicario) non l’avesse stroncato. Lui che aveva fondato nel 1971 la Nazionale Attori, me lo immagino a giocare a calcio con Ninetto Davoli su un campo di terra della borgata romana proprio per contrastare l’immagine di uno sport globalizzato e senza più bandiere. Lui, PPP che nel calcio celebrava l’amore per la vita, l’ultimo rito sacro degli Italiani, avrebbe corso ancora dietro ad un pallone tra la polvere e il sudore con quello sguardo strafottente, sempre ostinatamente contro.

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