Addio a Vargas Llosa, premio Nobel difensore della libertà

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Foto: Daniele Devoti CC BY 2.0,

Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2010 è morto ieri, domenica 13 aprile all’età di 89 anni a Lima. “È con profonda tristezza che annunciamo che nostro padre, Mario Vargas Llosa, è morto oggi a Lima, circondato dalla sua famiglia e in pace”, hanno scritto sui social i figli Alvaro, Gonzalo e Morgana.

Mario Vargas Llosa ha avuto un rapporto complesso e mutevole con la sinistra nel corso della sua vita. Nato nel 1936 ad Arequipa, in Perù, Vargas Llosa è stato uno degli scrittori più influenti dell’America Latina, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2010. La sua traiettoria politica è passata da un’iniziale simpatia per la sinistra a una netta presa di distanza, culminando in posizioni liberali e, in alcuni casi, di supporto a figure di destra radicale.

Da giovane, Vargas Llosa era un sostenitore delle idee socialiste e marxiste. Negli anni ’50, come molti intellettuali latinoamericani dell’epoca, appoggiò la Rivoluzione Cubana guidata da Fidel Castro, vedendola come un simbolo di riscatto per i popoli oppressi del continente. Studiò il marxismo all’università e fu affascinato dalle sue promesse di giustizia sociale, come lui stesso ha raccontato in opere come La llamada de la tribu (2018), dove riflette sulla sua evoluzione ideologica. Tuttavia, il suo entusiasmo per il socialismo cominciò a vacillare a partire dagli anni ’60, con eventi come l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968, che segnò una profonda disillusione verso il comunismo autoritario.

Un momento cruciale fu l'”affaire Padilla” nel 1971, quando il poeta cubano Heberto Padilla fu arrestato e costretto a un’autocritica pubblica dal regime castrista. Questo episodio portò Vargas Llosa, insieme ad altri intellettuali come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, a rompere pubblicamente con Castro, firmando una lettera di protesta. Gabriel García Márquez, invece, si rifiutò di aderire, segnando l’inizio di una frattura tra i due scrittori, culminata nel 1976 con un alterco fisico a Città del Messico, attribuito a motivi personali ma anche a divergenze politiche.

Dagli anni ’80 in poi, Vargas Llosa abbracciò il liberalismo, ispirandosi a pensatori come Karl Popper, Isaiah Berlin e Friedrich von Hayek. Critico feroce delle dittature di ogni colore, vide nel socialismo un sistema incompatibile con le libertà individuali. Nel 1987, fondò il Movimiento Libertad in Perù per opporsi alla nazionalizzazione del sistema bancario proposta dal presidente Alan García, e nel 1990 si candidò alla presidenza con una coalizione di centro-destra, il Frente Democrático (FREDEMO). Propose politiche neoliberali, come privatizzazioni e liberalizzazioni economiche, ma fu sconfitto al secondo turno da Alberto Fujimori, che ricevette il supporto della sinistra e dell’APRA per contrastare Vargas Llosa, percepito come un rappresentante dell’élite conservatrice.

La sua evoluzione politica ha generato reazioni polarizzanti. Se da un lato alcuni ammiravano la sua coerenza intellettuale e il coraggio di sfidare il dogmatismo della sinistra latinoamericana, dall’altro molti lo accusarono di tradimento. La sinistra lo ha spesso dipinto come un reazionario, mentre lui sosteneva che, in un’America Latina segnata da dittature e populismi, essere liberali fosse di per sé rivoluzionario. Negli ultimi anni, il suo supporto a figure come Jair Bolsonaro e Javier Milei ha alimentato ulteriori critiche, come emerso da post su X, dove alcuni utenti lo hanno definito un “grandissimo scrittore, ma pessimo politico” per questa svolta verso la destra radicale.

Dal punto di vista letterario, però, Vargas Llosa non ha mai imposto una griglia ideologica univoca nelle sue opere. Romanzi come La città e i cani (1963) o Conversazione nella Cattedrale (1969) denunciano le strutture di potere e gli abusi, riflettendo una sensibilità che potrebbe essere letta come “di sinistra”, dando voce ai ribelli e agli oppressi. La sua abilità di immergersi nei personaggi, anche i più ambigui, gli ha permesso di esplorare le contraddizioni umane senza mai ridursi a un semplice portavoce politico. Così la sua opera letteraria rimane un terreno in cui le categorie politiche si sfumano, lasciando spazio alla complessità dell’umano.

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