Aldo Manuzio, l’uomo che (re)inventò la scrittura

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"La casa di Aldo, A.D. 1502" di Frederick Wilson (1895)

L’editoria moderna e il libro come oggi noi li concepiamo devono tutto ad Aldo Manuzio. Siamo in pieno Rinascimento e intorno al 1450 la città di Bassiano, nei territori dei potenti Caetani, dà i natali ad Aldo. Figlio di una famiglia mediamente benestante, Manuzio va, ancora piccolo, a studiare a Roma, dove si appassiona al latino e alla retorica e, per proseguire gli studi, si trasferisce a Ferrara, oggi Città Identitaria, dove approfondirà il greco ad alti livelli, fino a saper conversare nella lingua di Pericle e a tradurre a impronta dal greco al latino sotto la guida di Battista Guarino, figlio del celebre umanista Guarino da Verona, presso l’Università di Ferrara. Nella città identitaria, all’epoca gioiello della famiglia d’Este, incontra il poeta e letterato Ercole Strozzi e il grande umanista e filosofo Pico della Mirandola, e proprio ai figli della sorella di Pico, spostata con il principe Pio di Carpi, farà da precettore per svariati anni.

Intorno al 1490, per motivi ignoti, inizia a vivere e a lavorare a Venezia, città dove vivrà quasi ininterrottamente fino alla morte nel 1515. All’epoca, la capitale della Serenissima repubblica era non una città ma un mondo, come la definirà Manuzio stesso in una lettera indirizzata a Poliziano. Nel fermento culturale e mercantile veneziano, Aldo comincia ad insegnare e a stampare, all’inizio con il principale scopo di fornire ai suoi studenti una grammatica greca, perché egli, oltre ad essere il primo tipografo ed editore della storia moderna, si considererà sempre prima di tutto un maestro.

Aldo Manuzio è infatti l’uomo ha inventato e codificato l’oggetto-libro come oggi noi lo abbiamo tre le mani. Prima del libro “aldino”, si usavano in Europa gli incunaboli, ovvero i libri stampati tra il 1455, anno in cui Gutenberg stampa la celebre prima Bibbia a Magonza, e la fine del XV secolo, quando Manuzio darà forma definitiva alle sue innovazioni con la prime stampe; l’incunabolo è un oggetto diverso rispetto a quello che sarà il libro concepito da Aldo: non aveva il titolo né il frontespizio. Sarà Manuzio a inventare l’indice e il numero delle pagine. Ma non solo: Manuzio, aiutato dall’amico e orafo bolognese Francesco Griffo, inventa il carattere corsivo e la punteggiatura, determinanti per la scrittura moderna: vengono codificate dalle edizioni aldine il punto come chiusura di periodo, la virgola, l’apostrofo e gli accenti nella loro forma odierna, nonché a lui si deve l’ideazione del punto e virgola e l’utilizzo del rientro per marcare l’inizio di un nuovo paragrafo.

Ad Aldo va il merito di aver introdotto in modo pervasivo il carattere corsivo, disegnato dal Griffo e usato per stampare i libri piccoli, tascabili, una novità assoluta. In Inghilterra, non a caso, il corsivo si chiama italic, proprio perché fu creato nell’Italia rinascimentale. Si ipotizzava che Aldo avesse ideato il corsivo per risparmio ma, a conti fatti, il foglio non costava meno e se avesse davvero voluto risparmiare sulla carta, che all’epoca era molto costosa, non avrebbe lasciato margini così ampi. Il corsivo venne concepito da Manuzio con l’intenzione di dare alla luce libri che sembrassero veri e propri manoscritti e il corsivo era certamente il carattere che più si avvicinava alla scrittura cancelleresca. Attraverso la diffusione di edizioni piccole, che esistevano già ma solo per i testi religiosi, Manuzio inventa il formato piccolo per i classici greci e latini e codifica la lettura per passatempo, per diletto. Il libro a stampa in precedenza era grande, pesante, si doveva appoggiare necessariamente ad un leggio e veniva letto a voce alta. Il libro piccolo, invece, si prestava ad essere letto nelle pause dal lavoro, e questo sarà un punto su cui Manuzio insisterà spesso nelle sue prefazioni: il libro deve essere considerato uno svago, un’occasione di piacevolezza e di cultura. Insomma, Manuzio concepisce il tascabile…

Il punto di partenza dell’opera tipografica aldina sono i classici della letteratura e della filosofia greca, pubblicati rigorosamente in lingua originale. La grandiosa edizione in cinque volumi delle opere di Aristotele (1495-98), ancorché incompleta, costituirà una delle basi del successivo studio e insegnamento del pensiero del filosofo per antonomasia. Ciò a cui Aldo farà sempre attenzione è l’estetica, l’eleganza delle pagine e ancora a lui va il primato di avere dato alle stampe il libro considerato il più bello di tutto il Rinascimento, l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, pubblicato da Manuzio nel 1499. Una vera e propria opera d’arte, con grandi incisioni di Benedetto Bordone e pagine composte ognuna diversamente, il Poliphilo fu un testo molto più ammirato che letto perché era scritto in un volgare costellato di parole greche, latine ed ebraiche. È in quest’opera che compare per la prima volta il marchio di Aldo con l’ancora e il delfino; Manuzio precorre i tempi e inventa un altro tratto caratteristico della modernità: quella che lui chiama la sua marca, oggi il marchio, il logo editoriale, che prima di lui non era stato ancora immaginato. Egli scelse per la sua tipografia l’ancora e il delfino, simboli rispettivamente della stabilità e della mobilità dell’intelligenza, accompagnato dal motto classicheggiante festina lente – affrettati lentamente, che secondo la concezione antica ha il significato di “rifletti con calma ma agisci con rapidità e decisione”.

La fama di Manuzio si diffuse ben presto in tutta Europa tanto che anche il noto umanista Erasmo da Rotterdam andò apposta a Venezia per farsi stampare i suoi Adagia, per la bellezza delle stampe aldine che, con felice intuizione, gli avrebbero dato una fama ancor più grande. Così accadde: l’edizione degli Adagia stampati da Manuzio ebbe un grandissimo successo.

Uno dei collaboratori più stretti dell’editore laziale era Pietro Bembo, che si occupò molto della questione della lingua italiana e probabilmente condivise con Manuzio decisivi dialoghi su questo tema. L’italiano che noi parliamo oggi deve in parte la sua codificazione al Bembo, che, riprendendo Dante e Petrarca, nel 1525 pubblica le Prose della volgar lingua, una prima grammatica della lingua italiana. Dalla produzione aldina derivano caratteri usati ancora oggi, i font per la scrittura digitale, come il Bembo, guarda caso, e il Times New Roman.

Un documento significativo del legame di Manuzio con Ferrara è il testamento redatto il 24 agosto 1511 e consegnato al notaio ferrarese Simone Gillini. Scritto di suo pugno, il testamento nomina la duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia, tra i commissari incaricati di vigilare sull’esecuzione delle sue volontà, che riguardavano la suddivisione dei beni tra la moglie e i figli e la gestione della sua tipografia. Questo atto sottolinea l’importanza di Ferrara come centro non solo culturale ma anche amministrativo per Manuzio, e il suo legame con la corte estense, alla quale era sempre stato legatissimo e molto amato dai suoi sovrani, oltre che Lucrezia, anche Isabella e Ippolito d’Este. Inoltre a Ferrara Manuzio ritenne – con ragione – di poter trovare un rifugio sicuro durante la crisi di Venezia nel 1509, a seguito della sconfitta veneziana nella battaglia di Agnadello. Non a caso la Biblioteca Ariostea di Ferrara celebrò esattamente 10 anni fa il rapporto di Ferrara con il grande editore rinascimentale.

L’apporto di Manuzio all’editoria e alla tipografia ha generato una vera e propria rivoluzione: non solo egli ha reinventato la scrittura, ma ha cambiato radicalmente la concezione del libro, della lettura e forse della cultura occidentale stessa.

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