Se c’è un uomo che ha compreso tutto prima di tutti, quello è senz’altro papa Celestino V, al secolo Pietro da Morrone. Per oltre dieci secoli è stato l’unico Papa a lasciare volontariamente il soglio. Era certo consapevole che questo gesto avrebbe tolto un po’ di sacralità al ruolo del Pontefice – la cui carica, benché elettiva, è notoriamente a vita –, ma nel contempo voleva affermare il diritto a rinunciare al potere e alla gloria, e che la Chiesa deve essere vicina alla povertà evangelica e quanto più lontana possibile dai giochi politici mondani.
Non c’è alcun dubbio. La sua scelta di abdicare, più ancora del suo brevissimo ma non per questo meno incisivo pontificato, lo ha reso una figura unica nella storia della Chiesa. Unica almeno fino a Benedetto XVI, che apprestandosi a compiere un gesto simile, nel 2009, dopo lo squassante terremoto, si recò nella basilica dell’Aquila dove riposa il suo illustre predecessore, e gli rese omaggio. Un gesto che alcuni interpretarono, correttamente, come un segno precursore della sua futura rinuncia.
Celestino V, il cui nome al secolo era Pietro da Morrone, era nato da famiglia contadina nell’anno del Signore 1215, nell’allora contea di Molise, pare a Sant’Angelo Limosano: lo attesta un antico e fragile manoscritto del XV secolo, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia: “in uno castello che si chiama Sancto Angelo nasce lo gratioso Celestin”.
Prima di ascendere al soglio, Pietro era un veneratissimo eremita, ben lieto di godere la pace delle montagne abruzzesi, non lontano da Sulmona, che aveva eletto a luogo dove conversare con Dio. Morrone infatti è il nome della grotta in cui visse per molti anni, dopo aver ottenuto, giovanissimo, forse da papa Gregorio IX, il permesso di consacrare la sua intera vita alla meditazione e al silenzio.
Fu questa la prima occasione per Pietro di recarsi a Roma, e forse sarebbe stata anche l’unica, perché per tutto l’arco della sua vita, quando gli fu possibile, Pietro preferì sempre riparare in luoghi montagnosi e inaccessibili, solo o in compagnia di altri eremiti, lasciando la solitudine e la preghiera solo quando era strettamente necessario: ossia per occuparsi della sua congregazione, costruire chiese e monasteri, oppure dare precise disposizioni ai confratelli sullo stile di vita più opportuno. Pietro infatti decise di rendere ancora più severa la Regola di San Benedetto, proibendo l’uso di abiti fini e caldi e raccomandando frequenti digiuni. Il vino, quello lo si poteva bere, ma soltanto la domenica.
Questo austerissimo stile di vita – seppure interrotto non di rado da necessari “viaggi di lavoro”, uno dei quali lo condusse addirittura a Lione, segno che Pietro non era poi così ignaro del mondo –, per tacere dei tantissimi pellegrini che si mettevano in fila per andare a trovarlo, o almeno accostarsi ai luoghi resi sacri dal suo ascetismo, fu interrotto, suo malgrado, nel 1294, quando il nostro aveva già compiuto 79 anni, età ragguardevole oggi, e ragguardevolissima nel secolo XIII.
Il fatto è che con la morte di papa Niccolò IV il trono di Pietro era vacante da ben due anni, nonostante, in ossequio a severe disposizioni, il Conclave si fosse già adunato a meno di dieci giorni dalla morte del Pontefice. Ma niente da fare. Le fumate nere si susseguivano senza sosta, per settimane che diventavano mesi. Questo perché il sommo consesso era attraversato da divisioni insanabili: da un lato i fedelissimi della casata Colonna, dall’altra quella degli Orsini; da un lato chi guardava agli interessi dei francesi e dunque della dinastia d’Angiò, e chi li avversava, per tacere delle rivalità tra Domenicani e Francescani, e i tanti cardinali che giocavano una partita personale, per assicurarsi un feudo o obbedire a chissà quali alleanze. Insomma, il panico totale, che perdurava da due anni, con la Chiesa rimasta senza guida e il caos che cresceva ovunque, perché mai come allora il Papato era stanza di compensazione della Grande Politica.
A un certo punto, la pressione divenne insostenibile. A quel punto determinante fu l’intervento di re Carlo II d’Angiò, re di Napoli, che conosceva bene Pietro e lo teneva in grande considerazione, avendo anche messo sotto protezione regia il suo monastero.
L’idea del Re, che si fece rapidamente largo, era chiara: un uomo di fede, senza legami politici, avrebbe potuto garantire una leadership super partes a Santa Madre Chiesa e, magari, fare anche il miracolo di mettere ordine tra i cardinali litigiosi. Inoltre, la sua fama di santità avrebbe rafforzato il prestigio della Chiesa agli occhi del popolo, in un periodo in cui la corruzione e il nepotismo ecclesiastico erano assai frequenti.
Ora, immaginiamo la scena: un uomo abituato al silenzio, alle preghiere, ai digiuni, improvvisamente veniva chiamato a presiedere un consesso affollato da scaltri ed esperti volponi. Unico vantaggio per lui, la corte del Papa si sarebbe insediata, almeno inizialmente, all’Aquila, città che Pietro conosceva bene e trovava meno estranea dell’Urbe.
Qui il 29 agosto 1294 Pietro fu vestito con un manto purpureo e costretto ad adottare come cavalcatura un cavallo bianco, lui che di regola preferiva l’asino. Come nome, scelse Celestino, non tanto, immaginiamo, perché un Celestino era stato suo recente predecessore, ed era morto due settimane dopo l’elezione, quanto perché amava richiamarsi ai corpi celesti, dimora del Padre Eterno.
Celestino, santo uomo, ci mise pochi mesi a capire che fare il Papa non era roba per lui. E che da protetto del re Carlo, stava diventando il suo ostaggio, nonché l’involontario tutore delle sue mire dinastiche. E qui arriva il colpo di genio: invece di farsi divorare vivo dagli intrighi, Celestino trovò il coraggio di togliersi la tiara e salutare tutti. Erano passati soltanto quattro mesi della sua incoronazione.
Oggi sarebbe un eroe del buonsenso. Un politico che si accorge di non essere all’altezza e cerca di uscire di scena. La sua decisione invece provocò uno scandalo incredibile. Al punto che Dante Alighieri lo piazza tra gli ignavi nell’Inferno, a causa di una scelta, giudicata pavida e tremebonda, che avrebbe consentito l’ascesa al trono di un papa crudele e controverso, Bonifacio VIII, al secolo Caetani.
Ora, è senz’altro vero che papa Caetani non fu certo un papa tenero, e ne seppe qualcosa il nostro Celestino, ormai tornato semplice Pietro. Temendo infatti che i suoi avversari lo restaurassero al soglio pontificio, o si scatenasse uno scisma, che insomma usassero contro di lui il vecchio ex papa eremita, Bonifacio fece arrestare il povero Celestino, che finì i suoi giorni in una rocca nei pressi di Frosinone.
Tuttavia oggi sappiamo che papa Caetani non fu certo un mostro, e che l’immagine che ne abbiamo si deve più alle lotte politiche del suo tempo, che alla realtà dei fatti. Al pari dei templari, di fra’ Dolcino, di Cecco d’Ascoli, e di tantissimi altri famosi e meno famosi vittime dell’accusa di eresia e di altre nefandezze, anche Bonifacio VIII fu coperto da colpe in gran parte immeritate, con il torto di rendere il rifiuto del suo predecessore assai più grave di quanto sia stato.
Basti pensare che contro Bonifacio era stata messa in giro la voce che nella sua stanza al Laterano avesse un ripostiglio chiuso da sportelli in cui celava la statuetta di un demone, che venerava. In realtà si trattava di un agioscopio, cioè un’apertura che dava direttamente sulla chiesa adiacente e consentiva al Pontefice di assistere alla messa pur rimanendo nella sua camera.
Resta però un fatto. Nel curriculum di Celestino V c’è una decisione impeccabile: aver compreso che il potere logora anche chi ce l’ha, e che a volte andarsene in anticipo consente di non farsi logorare. In virtù di questa scelta, che peraltro lo portò a una rapidissima canonizzazione riparatrice, oggi Celestino è ricordato come un uomo di profonda fede e umiltà. Ancora oggi viene venerato in Abruzzo e in altre parti d’Italia, soprattutto per la sua figura di eremita e per il suo distacco dal potere terreno.
Il Papa che scelse Dio invece del trono, un esempio di spiritualità pura che però si scontrò con la realtà spietata della politica ecclesiastica dei suoi tempi calamitosi.

















