La parola woke fino a pochi anni fa nessuno la conosceva, poi all’improvviso è entrata nel nostro lessico un po’ come quando per far cadere il governo Berlusconi nel 2011 la stampa nemica al Cav (cioè quasi tutta) tirò fuori un’altra parola: spread. Nessuno ne sapeva in realtà il significato, ma andava di moda pronunciarla nei salotti tv, al bar, perfino al mercato per screditare il Governo di allora alle prese con una crisi economica mondiale.
Così è oggi, con il wokeismo che in realtà nessuno ha capito bene cosa sia e che proveremo a spiegarvi nelle pagine di questo numero di «CulturaIdentità». Chi controlla il linguaggio controlla la realtà, ci ha insegnato Orwell in «1984». Certo noi che abbiamo festeggiato Dante e la bellezza della lingua italiana già ci sentiamo un po’ sconfitti nel dedicare la nostra copertina a questa parola che significa «stare allerta», risvegliare i diritti di alcune minoranze. Detto così uno può essere pure d’accordo, ma poi si scopre presto dove sta l’inganno. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter. Quelli che per vendicare la morte di George Floyd hanno messo a ferro fuoco le città americane, hanno abbattuto statue, aggredito e perfino ucciso persone inermi con la scusa, appunto, della difesa di una minoranza. .
Tipo gli studenti antagonisti dell’Università di Torino che giorni fa per manifestare per la Palestina hanno assaltato e imbrattato un fast food, rubando tutto al grido «Free Gaza». Roba da vuoto pneumatico. È quello che cercheremo di spiegarvi grazie ai contributi di tante firme che si occupano da anni di questa nuova folle ideologia. E in questo tritacarne del politicamente corretto alla fine c’è finito pure un mito della canzonetta italiana, Edoardo Vianello, che alla veneranda età di 86 si è sentito dire che non può più cantare «I Watussi» perché è una canzone che discrimina gli «altissimi negri». Lui, da figlio di un poeta futurista, ha risposto giustamente con una sonora pernacchia: parapaponpozi ponzi po. Ci sarebbe davvero da riderci su, se questa nuova dottrina non fosse un pericolo concreto per la libertà di pensiero e di espressione nel nostro Occidente nichilista. Non a caso la lotta al wokeismo è stato uno dei cavalli di battaglia della vincente campagna elettorale di Donald Trump negli Stati Uniti.
E siccome dal Dopoguerra le mode americane dopo anni arrivano anche da noi, c’è da preoccuparsi, perché nella patria di Dante lo schwa in un attimo ti sotterra il Dolce stil novo. I segnali sono già arrivati nei mesi scorsi quando qualcuno ha detto che «Biancaneve fa la colf ai sette nani» mentre qualcun altro ha cercato di cambiare il libretto della «Carmen» di Bizet. Insomma questa ideologia malata oramai ce l’abbiamo in casa. E allora proviamo a riconoscerla in queste pagine per impedirgli di diventare un virus mortale delle nostre libertà.