La voglia di Natale contagia l’arte in questi giorni a Roma. Finlandia. Per noi: tanta neve, slitte, elfi, renne, abeti maestosi e una domanda che ci facciamo da bambini: Babbo Natale esiste?
“Lapponia” è un testo teatrale ci parla di una riconciliazione familiare che dall’Italia va in Lapponia per passare le vacanze natalizie. Ma l’idilliaca rimpatriata tra due sorelle e consorti ai confini del circolo polare artico per vedere l’aurora boreale e scovare babbo Natale, si trasforma in una battaglia dello svelamento: ipocrisie, gioco delle verità che può trasformarsi in un massacro, segreti nascosti sotto il tappeto del perbenismo, differenze culturali e antropologiche tra lo Stivale nostrano (dove si urla, si gesticola, si mente per costituzione, ci si arrangia) e la buona creanza, l’ordine, le fredde abitudini, salmone e yogurt e mirtilli; la “civiltà nordica” di quel luogo vicino al Polo Nord. Il testo di Marc Angelet e Cristina Clemente è in scena al Teatro Manzoni di Roma fino al 15 dicembre ed è pieno di colpi di scena. Come scrive Giuseppe Manfridi in un suo celebre saggio Anatomia del colpo di scena: “questo è basato sull’attesa che accada qualcosa.” Il drammaturgo ci guida in una direzione e poi si smarca, dribbla inaspettatamente, ci porta da un’altra parte, ribalta l’idea che ci eravamo fatti fino a quel momento. Sembrava proprio che “ non c’era altro da aggiungere” e invece avviene qualcosa (in questo caso un’inattesa confessione da parte dei protagonisti), che ci dimostra come la nostra intera esistenza sia una vera e propria recita. Ferdinando Ceriani, il regista dello spettacolo, costringe tutti gli interpreti a una bella tensione, dialoghi serrati senza mancare l’appuntamento comico. Miriam Mesturino e Cristina Chinaglia sono le due sorelle (il diavolo e l’acqua santa), Sergio Muniz è bravo e credibile nel fare il conciliatore fra queste due furie nascoste. Nel quartetto ben bilanciato c’è poi l’aizzatore, il provocatore, colui che sostiene fin dall’inizio che tutte le bugie sono cattive e che i figli in Lapponia vanno allevati con la sincerità, costi quel che costi.
Dobbiamo davvero dire ai nostri pargoli che Babbo Natale non esiste? L’illusione è davvero così cattiva? Il trucco ahimè, anche nella vita risulta necessario. Da segnalare l’interpretazione di Sebastiano Gavasso, che fa il finlandese ma è “romano de Roma”.
Il pubblico uscendo soddisfatto dal teatro Manzoni commentava: “ per essere straniero, è proprio bravo!”
Sempre in tema con la Finlandia, a Palazzo Altemps, si è inaugurata la mostra dell’artista Hannu Palosuo, What If; qui lo spettatore viene condotto alla domanda della memoria e dell’identità. Cosa resterà dei nostri volti un domani? Ognuno conservi il ricordo perché questo è un soffio: spariranno le foto, le diapositive, le immagini affidate e tenute in custodia fiduciaria presso una nuvoletta di qualche server o “cloud” digitale. Anche questo artista squarcia il velo, il velo della memoria e della quotidianità. Osservando una sua tela raffigurante un soldato con un volto sbianchettato (Listening Loud, 2018) viene in mente l’attitudine che abbiamo ciclicamente a riscrivere la Storia.
Anche la damnatio memoriae, che letteralmente vuol dire “la condanna della memoria”. Gli imperatori romani facevano cancellare i volti di chi li aveva preceduti. È successo a Geta ad esempio, fratello dell’imperatore Caracalla. Cosa siamo senza memoria? Intellettualmente morti come vegetali. Memoria secondo Hannu Palosuo come malattia: un Alzheimer della Storia. Dalla Finlandia ci arrivano questi due regali sulla slitta di Natale. Da vedere.