L’eroe che incarna la virtù della pietas, fugge da Troia e arriva nel Lazio. Per ordine degli Dèi
La linea del tempo, ricordando i miti di fondazione, viene spezzata. Vi è eternità, non ciclicità né linearità. Navighiamo in uno stato incorruttibile e impassibile. Gli eroi e le loro gesta sono eterni. Divengono-sono, nonostante la corruzione dei costumi del mondo post-moderno, archetipi universali che ci indicano una giusta via. Quale? Una via tutta umana ma non nel senso bonario, così come si può intendere oggi, dove ogni azione che si compie nonché ogni manifestazione “sentimentale” viene giustificata e perdonata, seppur debole, scomposta o eccessiva. L’umanità che attribuiamo agli eroi è divinità in potenza. Scriveva Dante Alighieri:
Parole che il poeta fa pronunciare ad Ulisse. Eroe del viaggio, del ritorno in patria e della nostalgia del ritorno: nostos. L’avventuriero per eccellenza che una volta raggiunta la patria e l’amata, penserà nuovamente al mare. Ed il mare è spazio simbolico dell’incertezza e della sfida. Mare e terra hanno caratteristiche simboliche differenti. Questo rimprovera Dante all’eroe? Oltrepassare i limiti del divino e quindi le Colonne d’Ercole, la ricerca dell’ignoto e forse l’uso improprio dell’ingegno, della sua proverbiale astuzia. Ma ciò che dice Ulisse non è ignorabile: virtù e conoscenza sono aspetti da perseguire per divenire uomini di foggia superiore.
L’autore della Commedia, nel decifrare le parole dell’eroe e nella sua discesa-catabasi sarà guidato dal poeta Virgilio. Autore che scrive quell’Eneide fortemente voluta dal restauratore Augusto. Un progetto apologetico. Enea è un altro viaggiatore, ma non attua un percorso di iniziazione personale, bensì si farà carico del futuro della sua stirpe. È l’eroe fondatore di un nuovo ed eterno mondo. Alla Galleria Borghese di Roma, è esposto una tela di Federico Barocci, “la Fuga di Enea da Troia” (seconda versione) che rappresenta l’eroe con in braccio il padre Anchise, il figlio Ascanio/Iulo, che cinge la gamba al padre e Creusa, la sposa e madre figlia di Priamo. Sono in fuga dalle fiamme di Troia. Creusa diverrà ombra perdendosi, è il volere degli Dèi. I tre uomini: le generazioni passate, presenti e future, lasceranno il vecchio mondo che sta incenerendo per nuovi orizzonti. Enea figlio di Afrodite insieme ad altri uomini inizierà una peregrinazione in cerca della nuova terra dove piantare il genos divino. L’eroe si racconta da Cartagine, dove la regina Didone, grazie all’astuzia della pelle di toro, regnerà su un vasto spazio. Ci racconta la disperazione della donna, innamoratasi dell’eroe, Henry Purcell, compositore inglese del periodo barocco. Un lamento, nell’opera lirica «Didone e Enea» (1689) che strugge e ci riconduce ad un addio forzato poiché gli eroi se sono tali hanno tutti un destino che deve compiersi, un’opera da portare a termine.
Ed è sempre Mercurio, messaggero divino e tramite di Giove, a dichiarare che la terra d’Africa non è quella destinata all’eroe e alla gloriosa schiatta futura. Enea non può sbagliare come quando si era confuso a Delo, patria di Apollo e suo luogo oracolare. Anchise interpreterà il vaticinio in modo errato, pensando a Creta come futura patria. Non sarà l’isola culla della civiltà Minoica “l’Antica Madre” dove fermarsi.
Lo dicono ad Enea gli Dèi Penati. È l’Italia il luogo dove giungere.
Penisola luogo dei ritorni e degli inizi dove gli eroi attirati da un ancestrale richiamo troveranno il centro. L’Italia è la Saturnia Tellus. Evandro, l’Arcade, accoglie Enea. Anche lui vi fece ritorno in un tempo che si confonde tra verità di storia e mito. Ed il mito è storia sacra che mette ordine e ci dona la misura della sua autorità. Il mito fonda la realtà e con il fare rituale lo riattualizziamo sottraendolo alla dimenticanza. I Romani hanno nel loro sangue l’archetipo dell’Eroe fuggito da Troia che lascerà, dopo generazioni, a Romolo, l’onore della fondazione e della regalità. E quello che Enea si troverà dinnanzi giunto in Italia, è un luogo incolto in cui nessun segno prefigura la grandezza profetizzata. Laurentum: lì Enea rispetta le regole del rito sacrificale. Prepara un altare di legno per trasformare una grande scrofa bianca in offerta agli Dèi. L’animale scappa, sfugge al coltello. L’eroe lo insegue fino a quando la scrofa, guida a quattro zampe, si fermerà per partorire trenta maialini. Un prodigio che sancisce abbondanza. È quello il luogo della fondazione di una nuova città. La saggezza del progenitore sta nell’accordo con gli autoctoni. Latino, re degli Aborigeni, si pacificherà con lo straniero. Ma sono sempre le donne che sanciscono gli accordi. Nel loro ventre vi è acqua e sangue. Lavinia figlia di Latino, sarà la nuova sposa di Enea e Silvio il loro figlio. Ascanio, ora Iulo, fonderà la città di Alba (Bianca) Longa. Vi regnerà successivamente Silvio. E dopo generazioni, dal sangue di Enea, come un filo che si tende, nascerà re Proca, padre di Numitore che darà alla luce Rea Silvia la vestale fecondata da Marte. Enea, figlio di Afrodite/Venere, consegna il seme a Marte e la profezia di Delo principia.
Virgilio, Maestro che guida Dante, sceglierà Enea guerriero secondario ma valoroso nell’Iliade, per le sue virtù. Gli Dèi lo sanno e durante la guerra di Troia lo proteggeranno. Lui è pius, aggettivo che probabilmente deriva dal verbo piare, puro di cuore, colui che segue i sacri riti e venera gli Dèi e gli antenati, quindi l’uomo giusto. La pietas è cara ad Enea. Quel dovere devozionale per gli Dèi, per i genitori, gli amici e la patria. Il senso di dovere e giustizia che dovrebbe guidare ogni uomo. Ed Enea è anche uomo di pace. In questo aspetto, tramite di lui, viene glorificato Ottaviano Augusto il pacificatore. La Pax Romana o Pax Augusti. Enea prefigura quindi la grandezza della tradizione della stirpe futura. Con lui nasce la Gens Iulia, generazione che ha origine divine. Ciò avviene attraverso il genos, il seme che attraverso il ventre delle donne condurrà dal mito alla storia. Verità di mito e verità di storia. Molte tracce concrete della realtà ci riconducono a questo. Se passeggiamo per le strade di Gaeta, dovremmo sapere che il nome della cittadina deriva da un nome di donne, la nutrice da i Enea, Caieta. Bagnandoci nelle acque di Palinuro, dovremmo sapere che quel luogo prende il nome dal nocchiero di Enea. E ovviamente Lavinium, oggi Pratica di Mare, fondata da Enea battezzandola col nome della sposa latina, nel luogo indicato dal prodigio della scrofa bianca e dove oggi è la sua tomba. Gli esempi si moltiplicano a dimostrazione che ciò che avviene ed è avvenuto nel tempo del mito conferisce realtà alla nostra realtà. Restano i nomi d’antica gloria, però gli eroi sembrano addormentati. Cosa è successo agli uomini e alle donne che vivono questo tempo? L’Occidente sembra averli dimenticati. Ne restano tracce nei nomi eponimi, nelle statue, simulacri di un tempo lontano e irripetibile. Quando è avvenuta tale cancellazione? Un progetto ampio, una discesa sembrerebbe. Un piano orizzontale e infero che non riguarda la discesa agli inferi come catabasi necessaria preparativa alla anabasi, ma una stasi infeconda. Come riemergere da questa coltre che fa dell’uomo, colui che vive lontano da virtute e canoscenza?
La resistenza da opporre è quella dei padri e delle madri, in primis. Ai nuovi nati va consegnata la fiamma dell’antica gloria. Nessuna retorica nostalgica, solo l’esempio della bellezza di valori ancestrali che sono presenti in ogni tradizione sapienziale e in ogni testo sacro, dalla Bhagavad Gita ai poemi omerici e virgiliani, e non solo. Resistenza quindi all’ignoranza della nuova scuola, della cultura della cancellazione, dello schermo senza libri. L’umile invito è quello alla lettura delle gesta eroiche. Enea rappresenta il Giusto per eccellenza, colui che rispetta l’altro da sé, che possiede coraggio e accortezza nel rispettare il mondo divino.
Vi è quindi una frase, a guida, la stessa che Virgilio farà pronunciare a Didone dopo che la regina ha ascoltato le gesta di Enea e se ne è innamorata: Agnosco veteris vestigia flammae (“conosco i segni dell’antica fiamma”), nonché i versi con cui Dante saluta Virgilio, rendendogli omaggio, dopo che il poeta lo lascia in compagnia dell’amata Beatrice. Conoscere-riconoscere l’antica fiamma che sia per amore della conoscenza e sulla via degli eroi, ad maiora vertite.