Franco Cardini: “La pandemia ci ha messo davanti ad un bivio…”

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“La pandemia ha creato sconvolgimenti ma senza una politica seria sarà difficile invertire la rotta”. Franco Cardini è convinto che la crisi sanitaria ed economica degli ultimi mesi farà sentire ancora i suoi effetti. Con la lucidità dello storico di lungo corso, maestro di varie generazioni di studiosi, Cardini ritiene non corretto mettere sullo stesso piano la pandemia e la guerra. “Durante il covid stavamo chiusi in casa, comodamente sui divani e sulle poltrone. In guerra, penso al secondo conflitto mondiale, mancavano cibo e acqua”. Secondo Cardini, il momento che stiamo vivendo ci ha messo di fronte ad un bivio. E solo con sagge scelte politiche si può davvero cambiare registro ed evitare il definitivo sradicamento identitario della nostra società.

Professor Cardini, la crisi economica e sociale causata dal coronavirus sta portando ad una riscoperta delle identità?

Bisogna aver chiaro che cosa si intende per identità. L’identità è una realtà prima di tutto storica. Non possediamo una identità, ma un mosaico di identità. Esiste una identità etnica. Concetto molto dinamico. Esistono altresì delle identità di genere. Quando Papa Francesco, anche con la simpatia che lo contraddistingue, si rivolge ai transessuali li chiama “ragazze”. In questo caso l’attenzione va oltre i caratteri del sesso. Cosa il covid abbia combinato sulle identità è difficile da dire. Di sicuro ci ha messo di fronte ad un bivio. O riprendiamo le cattive abitudini, fondate sull’individualismo con la scelta di gruppi chiusi, o apriamo una nuova fase delle nostre esistenze. La nostra identità si è già molto modificata. Ora, con la crisi sanitaria, economica e sociale, è emersa una esigenza di identità cattolica. Ma attenzione. In molte parti d’Italia assistiamo a dei fenomeni reinventati sul modello hollywoodiano. Si pensi alla riscoperta, fasulla ed equivoca, dei templari. Una tendenza alla riscoperta che genera altri equivoci, come l’individuazione di un nemico immaginario. Il Papa evidenzia che si può riscoprire un nuovo modello di vita, basato su conoscenza reciproca. La carità cristiana, come elemento da riscoprire, va in questa direzione.

Il coronavirus quindi non ci ha insegnato nulla?

Per invertire la tendenza credo che la pandemia avrebbe dovuto avere caratteri ancora più sconvolgenti. Non possiamo paragonare il coronavirus alla guerra. Non sono la stessa cosa. In guerra, in Italia, mancava il cibo. I bambini crescevano senza avere nulla a tavola e in molti casi senza i genitori. Nei mesi scorsi abbiamo affrontato la pandemia in casa, sul salotto, davanti alla tv e con i frigoriferi pieni. Si è creata una mitologia del covid. Difficile immaginare cosa accadrà in futuro. Sono però pessimista se si dovesse verificare una seconda ondata di diffusione del coronavirus.

Quanto sta accadendo ha indebolito di molto i modelli della globalizzazione che per decenni ci hanno imposto?

In linea di massima direi di no. I modelli della globalizzazione non sono stati scalfiti. Ci metteremmo molto per costruire modelli alternativi. Il vero problema è che la politica non ha saputo fornire risposte ad una serie di problemi emersi con tutta la loro dirompenza. Si è preferito cavalcare l’onda della protesta fine a sé stessa. Si pensi al tema dell’immigrazione. In molte parti del nostro paese sono cambiati gli approcci e le sensibilità. Ci sono aree della cosiddetta cintura rossa, in Toscana, in Emilia Romagna e anche nelle Marche, dove l’elettorato ha subito una metamorfosi. La globalizzazione ha depoliticizzato la vita politica e tolto interesse ai cittadini su quanto gli accade intorno. Viviamo un periodo di massimo edonismo. Siamo stati svuotati dall’interno. La perdita delle libertà avviene quando sei eterodiretto, ti impongono scelte e sei contento per questo. Abbiamo dato un consenso apparentemente libero ad un sistema repressivo.

Ci sarà una maggiore riscoperta delle identità e peculiarità italiane in questo contesto?

Bisogna sapere che cosa si intende per identità e peculiarità. Il modo di vivere degli italiani è stato caratterizzato dalla perdita di identità, questo è indubbio. L’epidemia potrebbe darci la forza della sua riscoperta? Difficile da dire. La nostra identità è una variabile della identità occidentale. Abbiamo vissuto schiacciati dal consumismo e dal disimpegno sociale e civile. Il ceto politico, caratterizzato da professionisti della politica che lavoravano per il bene comune, è venuto meno dopo la fine della prima repubblica. Io appartengo alla generazione degli ultrasettantenni. La mia generazione può già dirsi snaturata rispetto alla realtà pre-globalizzante o paleo-globalizzante. Nell’Italia che si è borghesizzata, che ha abbandonato le campagne ed è confluita nelle città, i connotati sono quasi tutti scomparsi. Ciò prima ancora che emergessero le questioni legate ai migranti e agli islamici. La socializzazione che avveniva nelle parrocchie e nelle case del popolo è stata rasa al suolo dai media. La società tradizionale è stata azzerata da alcuni tipi di svago giunti con la diffusione della televisione. L’individualismo ha preso il sopravvento. Quando si diffusero gli apparecchi televisivi, i bar si trasformarono in piccoli cinema, dove la gente condivideva la visione di film o programmi di intrattenimento. Oggi si è verificato il contrario. Nei cinema ognuno porta il suo individualismo. Si mangia, si parla, si disturba. Non si condivide in silenzio una visione.

Qualche anno fa lei ha scritto un bellissimo libro, “Andare per le Gerusalemme d’Italia” (ed. Il Mulino). È giunto il momento che tra noi italiani aumenti l’autostima e si apprezzino di più luoghi fondamentali anche per l’Europa?

Se avessimo una politica culturale, sarebbe ovvio. La nostra politica culturale non prevede un controllo politico di qualità. Pensiamo al turismo. Mancano università dedicate a questo settore. Oggi esiste un’industria del turismo che mostra solo le parti più interessanti del nostro paese da un punto di vista massmediale, in maniera ipertrofica. È successo con le recenti celebrazioni di Leonardo da Vinci. Con Dante si rischia la stessa cosa. Mi viene in mente anche quanto accaduto con la Via Francigena. Si è pensato più ai B&B e ai prodotti tipici, come olio e formaggi, tralasciando il vero significato del cammino. Il “Volto santo” di Lucca, splendida opera d’arte, è passato in secondo piano. Una grande città come Lucca, con il suo patrimonio, viene dimenticata. È necessaria una rivoluzione culturale, che, però, non avverrà a breve prima di tutto per i limiti che mostrano le classi politiche. Economia e tecnologia hanno preso il sopravvento sulla cultura e sullo spirito.

Secondo lei, ci sarà una fuga dalle città per un ripopolamento delle aree interne e dei borghi più piccoli?

Può darsi. Oggi assistiamo, per certi versi, ad una fuga dal tecnologico. Alcuni segnali, per esempio, provengono dalla riscoperta dell’artigianato. La crisi del lavoro e la disoccupazione creano fenomeni di sradicamento e incapacità di reagire, ma anche reazioni opposte. Non mancano casi di giovani che non si arrendono e stanno riscoprendo alcuni mestieri legati al territorio. Molti di questi giovani si dedicano all’agricoltura a chilometro zero. Tali reazioni contrastano l’abbandonarsi all’ignoranza. Una voglia di mettersi in gioco, di reagire rispetto alla mancanza di interessi. La cosa fondamentale è coltivare interessi. È meglio un interesse di qualità che una professione svolta e vissuta passivamente, senza partecipazione. Rifondare il lavoro manuale potrebbe aiutarci ad uscire dalla crisi. Non solo economica ma anche esistenziale.

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1 commento

  1. grande storico..persona educata e inclusiva..in poche parole..un esponente di quella razza in via di estinzione…che nel dopoguerra ha fatto grande e ammirata l’Italia….soppiantata dagli analfabeti… funzionali e non solo..ignoranti su qualsiasi materia che non sia contemplata nei mass media o nei programmi spazzatura

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