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Il governatore siciliano Nello Musumeci dovrebbe dimettersi perché ha scritto negli anni Ottanta un libro su Filippo Anfuso? Secondo l’Anpi, sì. E sebbene la richiesta si sia risolta in un buco nell’acqua, c’è lo stesso di che preoccuparsi. Appunto perché fa il paio con il dibattito da «pulizia etica» che sta incendiando ultimamente le due sponde dell’Atlantico. Dove ogni presunta colpa culturale diventa di per sé un fatto irredimibile e imperdonabile. Misericordia e buon senso, addio. Il punto è che sollevando spauracchi e inseguendo streghe si rischia seriamente di non capirci niente di niente.
Cerchiamo di mettere le cose al loro posto. Nello Musumeci, catanese e dichiaratamente missino, ha scritto un libro su un altrettanto catanese e missino. Chi era Anfuso? L’ambasciatore della Repubblica sociale italiana a Berlino. Sì, lo è stato. Commise crimini di guerra o contro l’umanità? La risposta è no. No, no e ancora no.
Per le presunte collaborazioni con l’ingombrante alleato tedesco, fu prima processato e poi assolto. Nella sentenza gli fu addirittura riconosciuto il merito di aver impedito ai nazisti di accanirsi contro gli italiani presenti in Germania all’indomani dell’Armistizio. «Il contenuto del libro di Musumeci – scrive lo storico Marco Iacona – è sintetizzabile in una frase, “Anfuso difensore degli interessi italiani”, il tema non solo non è mai stato occultato ma è eventualmente intuibile anche da chi non lo ha letto».
Anfuso fu assolto anche da un’altra accusa, quella di essere il mandante dell’omicidio di Carlo e Nello Rosselli, uccisi a coltellate il 9 giugno 1937 a Parigi. Ce lo ricorda un altro catanese, Giampiero Mughini: «Ripeto, processato e assolto. Il che dovrebbe chiudere l’argomento – ha scritto a Dagospia – Confesso di non conoscere le carte di quel processo, ma la sentenza avrà pure una sua importanza. Assolto. Dipendesse da me, avrei scritto volentieri un libro su Filippo Anfuso, uno che in una bilancia ideale pesa di più e meglio che 50 degli attuali dirigenti del Movimento 5 Stelle. Diciamo una quindicina di volte in più che Dibba o altri cinquestellati che sul “Fatto” vengono trattati coi guanti bianchi e non capisco davvero il perché».
Per intenderci: Giampiero Mughini, espressione di una sinistra eretica e libertaria, antifascista lo è fin dentro le ossa. Ciò non gli ha impedito però di approfondire anche i personaggi più vicini a Benito Mussolini. Telesio Interlandi fu siciliano e direttore de La Difesa della Razza, cassa di risonanza cioè di una delle pagine più untuose e amare della storia d’Italia. Studiando gli anni Trenta, Mughini ha sbirciato nel dibattito di allora e ci ha visto dentro di tutto.
Vitaliano Brancati, ad esempio, fu uno dei tanti a frequentare casa Anfuso. Tant’è che è più che probabile che il Nino Mangano del Bell’Antonio altro non fosse che il fratello piccolo dell’ambasciatore. Su questo particolare ci sarebbe da scrivere e scrivere. Ma col clima attuale, passa davvero la voglia. Nel dibattito da dossieraggio Stasi di questi giorni, le storie e le sfumature stanno a zero. Basterebbe soltanto un pizzico di curiosità rinforzata per scoprire che, cessata la guerra, Anfuso divenne parlamentare dell’Msi per poi morire durante un dibattito in aula.
In cosa credeva? Achtung, Achtung: nell’Europa nazione. E già, prima di molti altri e in maniera più convinta, Filippo Anfuso fu un grande europeista.
bell’articolo.!
Ma cosa è l’ANPI? Chissene frega dell’ANPI? Sarebbe come se parlaste delle MVSN? Ha lo stesso valore. Boh!!!