In Libia ci vorrebbe un nuovo Italo Balbo

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Questo articolo è stato scritto da Giacomo Petrella e pubblicato su il Giornale OFF il 29/07/2017 (Redazione)

Ci siamo. La Libia è sempre più una polveriera: combattimenti sulla strada per l’aeroporto, guerriglia, tentativo di golpe molto più che strisciante, stato d’emergenza.

La Libia è  affar nostro.

La Tripolitania, governata da Fayez Muṣṭafa al-Sarraj, dominus scelto dalle potenze occidentali come unico referente, è affar nostro.

La Cirenaica, governata dal generale Khalifa Belqasim Ḥaftar, che al cospetto di Emmanuel Macron a Parigi strinse la mano al rivale di Tripoli e che purtuttavia è il “governatore” orientale della Libia snobbato dall’Occidente, è affar nostro.

La nave dell’ENI che sulle coste di Tripoli ha fatto evacuare i tecnici, è affar nostro.

Così come è affar nostro l’assalto delle milizie appoggiate da Haftar a Tripoli: la bandiera italiana nella sede diplomatica non è ammainata, ma il console è in “vacanza” forzata e il personale non necessario è stato evacuato.

La Francia, che non nasconde l’appoggio ad Haftar, ha il suo interesse principale in ballo: la Total. Eliminato Gheddafi (che era un figlio di p…., ma era il nostro figlio di p.) per volere dell’ex presidente francese Sarkozy con l’appoggio americano e, di conseguenza, italiano (molto, molto malvolentieri Berlusconi dovette non opporsi alle richieste dell’inquilino di Palazzo Chigi), il controllo delle ingenti risorse petrolifere si è totalmente deframmentato e le varie milizie (quelle di Haftar, ex “gheddafiane” diciamo) e quelle di Sarraj (esito delle primavere arabe del 2011 sostenute dagli USA in primis) che si contendono il controllo totale della Libia non accettano la spartizione equa dello sfruttamento dei pozzi e dei relativi proventi, perché in quest’ottica caotica prendersi qualcosa col coltello fra i denti è preferibile a una univoca spartizione.

Tutto questo è un affare italiano: storico ed economico.

Che fare?, verrebbe da dire. Chi è il Ministro degli Esteri italiano? In Libia ci vorrebbe un nuovo Italo Balbo (Redazione. Emanuele Beluffi).

“Ammettiamolo, da quando si parla di diritti umani, si fa una vita da cani”. Il giornalista Karl Kraus, noto autore di aforismi, non poteva sintetizzare meglio le contraddizioni della modernità occidentale. Contraddizioni sempre più lampanti, se si osservano, da vicino, i grandi conflitti in atto nel Mediterraneo. Le Primavere Arabe, esempio multiforme dell’esaltazione superficiale dell’umanitarismo, si sono trasformate infatti nell’incubo fondamentalista del Califfato, in una minaccia costante alle porte dell’Europa, esplosa concretamente tra le vie di Parigi e di Bruxelles.

Italo Balbo, l'avversario più fiero di Mussolini
Italo Balbo, l’avversario più fiero di Mussolini

In questo senso, l’avanzata dell’Is- Stato Islamico, in Libia tocca l’Italia sin troppo da vicino; in termini strategici certamente, ma soprattutto storico-politici. Fu infatti Italo Balbo, nel 1934, unendo Tripolitania e Cirenaica a dare il via ad una storia di tradizioni e culture diverse fra loro, nel nome di un colonialismo assai differente da quello di matrice anglosassone; un colonialismo di sviluppo, di integrazione fra coloni e colonizzati, e di cittadinanza. La via Balbia, più di 1800 km di litoranea, fu il simbolo di uno sforzo civilistico assai più profondo della già complessa creazione dei sistemi sanitari, scolastici e di sviluppo agricolo conosciuti dalla colonia. Italo Balbo, in qualità di Governatore della Libia, ebbe modo di mettere in pratica quell’idea di fascismo universale, di motore storico di un’Italia nuovamente imperiale, capace di integrare nel proprio progetto di cittadinanza il più ampio numero di nazioni.

Un’idea condivisa trasversalmente con gli animi più intelligenti e liberi del fascismo regime, quali appunto il direttore dell’Universale, Berto Ricci; non a caso, entrambi Italiani di pensiero ed azione, morti in armi sul fronte Libico. Un fronte che per Balbo e Ricci venne a rappresentare qualcosa di più di un semplice scenario di guerra. L’Italo Balbo governatore fu dunque emblema di un’Italia consapevole della propria identità e del proprio ruolo nel Mediterraneo: ostile al razzismo biologico hitleriano, ostile al razzismo ipocrita delle potenze alleate, Balbo mise in pratica un dialogo costante con il mondo musulmano, nella convinzione di poter ridare a Roma quel ruolo di potenza pacifica e di equilibrio avuto nel passato.

Fu proprio il carisma “romano” di Balbo a garantire a Mussolini la consegna della Spada dell’Islam, nel 1937, ed il seguente titolo di Protettore dell’Islam. La Libia italiana fu dunque esperimento più alto dell’ottocentesco bisogno di espansione coloniale. Fu la riaffermazione di una pace classica, diversamente intesa: la pace non come superficiale assenza di conflitto, dunque, ma come fondazione di Stati e Civiltà. Insomma l’esatto contrario di quanto sta avvenendo oggi, a poche miglia da Lampedusa, dove la miopia utilitaristica di un Occidente privo di identità, ha ridestato il mostro storico della Tirannia fondamentalista.