E’ uno dei passaggi più toccanti di “Inimitabili”, lo spettacolo di Edoardo Sylos Labini scritto insieme ad Angelo Crespi, direttore della galleria di Brera. L’incontro fra Giuseppe Mazzini e Friedrich Nietzsche, allora giovane professore di filologia a Basilea. Quello che sarebbe diventato uno dei pensatori più sconvolgenti del suo tempo era reduce da una traumatica esperienza bellica: si era arruolato con entusiasmo nell’esercito prussiano durante la guerra con la Francia, ma a dispetto delle premesse con cui era partito, tornò carico di delusione e scetticismo. Anche il suo iniziale supporto verso la politica di Bismarck si era notevolmente intiepidito.
Nietzsche si era quindi ritirato di nuovo in Svizzera, insieme a sua sorella Elisabeth, in una sorta di “convalescenza” spirituale. Qui aveva iniziato a frequentare Wagner e sua sorella Cosima, e a maturare l’ateismo e a scrivere quella che sarebbe diventata la sua opera prima, la scandalosa “Nascita della Tragedia”, e, ultimo ma non ultimo, conosciuto Jacob Burckhardt, autore de “La civiltà del Rinascimento in Italia”, che gli aveva trasmesso l’amore per il nostro paese e il desiderio di visitarlo.
Se Nietzsche era un astro nascente, quello del suo compagno di viaggio Mazzini era oramai prossimo al tramonto. Il grande patriota italiano aveva lasciato Londra, con un commosso addio alla città dove aveva vissuto 25 anni d’esilio. Sentiva vicina la sua morte e desiderava spirare in Italia, anche se proscritto. L’anno precedente era già stato arrestato. Anche se in carcere a Gaeta fu trattato con riguardo, poté uscirne solo per l’amnistia concessa in seguito alla conquista di Roma, il 20 settembre 1870. Una conquista avvenuta sulle baionette dei bersaglieri di Vittorio Emanuele II, non con una repubblica come quella che lui aveva guidato nel 1849. Il coronamento dell’unità nazionale, dunque, non era avvenuto come egli aveva sempre auspicato, per spinta del popolo e in ordine alla creazione di una repubblica del popolo, ma con gli eserciti di una dinastia regnante. A differenza di Garibaldi, che pragmaticamente aveva sposato l’obbiettivo dell’unificazione con qualunque mezzo, Mazzini non riusciva a consolarsi del fatto che essa fosse avvenuta per mano dinastica.
Mazzini si sentiva così uno sconfitto dalla storia.
Era dunque il febbraio del 1871. Due spiriti giganteschi si trovavano per puro caso a viaggiare insieme, ciascuno inconsapevole di chi fosse il suo compagno. I due viaggiavano sullo stesso traghetto sul lago dei Quattro Cantoni: in Svizzera. L’episodio del loro incontro fu poi narrato dalla sorella di Nietzsche, Elisabeth. Nel 1871 il passo del san Gottardo veniva valicato in carrozza postale, passando in superficie, non nella celebre galleria che ancora non esisteva. Il viaggio era lungo e, d’inverno, pericoloso. A Lucerna, sul lago dei Quattro Cantoni, i viaggiatori si imbarcarono sul traghetto. Il comandante del battello organizzò per i suoi passeggeri più illustri degli angoli riparati con con coperte e pellicce. Nietzsche ed Elisabeth notarono che assieme a loro riceveva un trattamento di riguardo anche un vecchio signore. Chiesero con discrezione al comandante chi fosse ed egli, sottovoce, rispose loro che “è una persona molto particolare, si chiama Mazzini, ma nessuno deve venire a sapere chi fosse, perché era stato bandito dal suo paese come persona molto pericolosa e sulla sua testa c’è una taglia di molte migliaia di lire”. “Mazzini sedeva un po’ in alto verso prua – scrive ancora Elisabeth – avvolto in un ampio mantello grigio. La sua testa ben modellata con i capelli bianchi era visibile a tutti. Il dolore aveva scavato solchi profondi nel suo viso nobile e scarno, dal colorito degli uomini del sud”.
Il battello arrivò a Flüelen di sera e i passeggeri dovettero fermarsi in un albergo. A cena, Mazzini e il suo giovane accompagnatore, Nathan, erano gli unici ospiti insieme a Nietzsche e alla sorella. Il filosofo e sua sorella erano incuriositi da quel personaggio di cui avevano colto il tratto grandioso. Dei versi di Goethe citati da Mazzini nella sua conversazione con Nathan davanti al camino furono l’occasione per far accostare le due coppie d’ospiti. Mazzini, ignaro del fatto che i suoi giovani interlocutori conoscevano la sua identità, si presentò come “Mr. Brown”. Non si strinsero nemmeno la mano, mancanza d’etichetta che venne subito colta come segno di imbarazzo reciproco. Dopo poco, però, i quattro iniziarono una conversazione, a partire dalle rispettive conoscenze delle lingue francese e tedesca. Mazzini si schermì affermando di padroneggiare poco la lingua di Goethe, la capiva ma non la parlava, mentre Nietzsche si scusò di non poter prendere parte attiva alla loro conversazione, perché era molto sofferente e inoltre parlava un francese così ricercato, che sua sorella soleva dire che il suo francese assomigliava a quello di Corneille o di Racine e che non si riusciva a capire nulla di quello che lui diceva. Il professore di Basilea cercò di scaricare colpa sulle scuole tedesche, perché secondo lui “le lingue moderne venivano insegnate in modo tale che nessuno era in grado di esprimersi nella vita normale” aggiungendo che gli sarebbe riuscito più facile farsi capire in greco o in latino. Mazzini invece difese le scuole tedesche asserendo che fossero eccellenti. Infine Nietzsche si limitò ad ascoltare con piacere Mazzini e Nathan parlare, intervenendo solo di tanto in tanto in latino.
Il giorno dopo le due coppie presero posto in due grandi carrozze postali che trasportavano persone e bagagli. Man mano che ci si avvicinava al passo, però, la via diventava sempre più coperta di neve e per le carrozze postali divenne sempre più difficile avanzare. I passeggeri furono così trasferiti su sedici piccole slitte per la traversata del passo del san Gottardo, in attesa di poter di nuovo montare su carrozze. Ma i quattro viaggiatori preferirono però precedere il convoglio a piedi per un tratto, per godersi la natura e perché le slitte s’erano rivelate alquanto pericolose, finché le vetture non li avessero raggiunto. Così arrivarono a un punto dove si offrì loro il panorama della valle sottostante le Alpi. Il giovane accompagnatore di Mazzini guardando in lontananza gridò con gioia: «Italia!». Erano ancora in Svizzera, ma si poteva vedere in lontananza il paese del sole.
A quel punto ad Elisabeth vennero le parole di Corinna dal libro omonimo (“Corinne ou l’Italie”) di Madame de Staèl: «Italia, impero del sole, culla delle lettere, maestra del mondo, io ti saluto! Quante volte la razza umana ti fu sottomessa, tributaria delle tue armi, delle tue arti e del tuo ciclo!». Mazzini, che nonostante l’età avanzata era pur sempre un uomo dai modi affascinanti e seducenti, afferrò strettamente la mano di Elisabeth e disse sottovoce con ardore religioso: «Patria mia». Nietzsche rimase commosso da questa scena e disse poi: «Beato il paese i cui figli dicono “patria mia” con tale ardore ed entusiasmo».
Al loro arrivo i viaggiatori si separarono. Mazzini chiese ad Elisabeth dove fossero diretti: “Lugano – rispose lei – pare che sia il paradiso”. “Per la gioventù – ribatté malinconicamente il patriota – ogni posto è paradiso”, salutandosi in in tre lingue: «arrivederci!».
Un incontro che fu una scintilla. Mazzini e Nietzsche non si rividero più. Il filosofo iniziava in quel momento la sua tortuosa strada verso gli abissi del pensiero nichilista e dell’eterno ritorno, Mazzini compiva il suo ultimo viaggio per morire, anche se da esule, in patria. Il 10 marzo dell’anno successivo, sotto falso nome, Giuseppe Mazzini si spegneva a Pisa, mentre Nietzsche raggiungeva la fama con la polemica suscitata in tutto il mondo accademico dal suo rivoluzionario “La nascita della tragedia”.