L’Italia nell’inverno demografico rischia l’estinzione

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Gli ultimi aggiornamenti Istat, relativi a natalità e fecondità in Italia per l’anno 2022, fotografano indicatori e dati al ribasso: 393.000 nati e 1,24 i figli per donna; dati a dir poco sconfortanti.

Diciamo che siamo finiti in una trappola, demograficamente parlando: la trappola di Malthus. L’economista e demografo inglese teorizzò nell’800 il gap progressivo tra crescita geometrica della popolazione e crescita aritmetica delle risorse alimentari. Previde, quindi, che si sarebbe arrivati ad una divaricamento tale, fra l’una e l’altra, che ad un certo punto le risorse non sarebbero bastate a soddisfare i bisogni anche alimentari.

La teoria, invocata ripetutamente dai neomalthusiani per contrastare l’impoverimento ed il perturbamento ambientale contrastando la natalità, ha esercitato (ed esercita ancora) un’influenza su molti indirizzi di politica economica e di pianificazione familiare, anche in Italia.

Fu invocata, ad esempio, negli anni ’60, quando la crescita demografica era effettivamente sostenuta, specie nel Sud Italia. Alimentò nel ’68 il dibattito sull’uso e la liceità della pillola, la cui introduzione aprì la via ad ulteriori “conquiste civili”. Anche la propaganda a favore dell’aborto, che nel ’78 portò alla sua legalizzazione (Legge 194), ha sullo sfondo le teorie di Malthus, nella misura in cui il diritto “ad una procreazione cosciente e responsabile” si è inopinatamente trasformato in pratica di controllo delle nascite. Cosicché nel corso di 40 anni sono stati soppressi legalmente 6 milioni di embrioni contribuendo ad un impoverimento senza precedenti del tessuto demografico.

Nel frattempo, la struttura della popolazione italiana è radicalmente mutata. La natalità si è andata progressivamente contraendo, la nuzialità si è più che dimezzata e la popolazione è invecchiata, talché oggi l’età media in Italia supera la veneranda (si fa per dire) età di 46 anni. Il numero medio di figli è sceso ampiamente al di sotto del livello minimo di ricambio generazionale (che è di 2 per donna).

In conseguenza di questo crash demografico si è determinata una trappola malthusiana, per così dire, capovolta, perché ora il problema della progressione esponenziale si ripropone ma come tendenza al declino. Il numero dei nati sprofonda, quindi, a livelli infimi, collezionando record negativi e abbattendo soglie sempre più deprimenti di denatalità. È un tracollo che si autoalimenta, un circolo vizioso che, nel persistere (ormai da decenni) di uno stesso costume riproduttivo, produrrà un’ulteriore curvatura in senso discendente della parabola della natalità.

L’equazione è ovvia: meno mamme = meno figli. Le donne che partoriscono oggi il primo figlio, mediamente intorno ai 30 anni, sono nate agli inizi degli anni ’90 quando il numero dei nati era già fortemente contratto, e le bambine che nascono oggi sono molte di meno, per cui fra 30 anni ci saranno ancora meno mamme. Il trend è inesorabile e difficile da invertire.

Questo fenomeno è drammaticamente avvertibile in alcune realtà del Paese in cui la popolazione giovanile è quasi assente e non nascono bambini da anni, se non da decenni. Non si vede un fiocco colorato sulla porta né ragazzini dai calzoncini corti rincorrere il pallone per strada. Quanto alle bambole sono accuratamente riposte nelle credenze, dove c’è puzza di naftalina. Ma anche in città sono sempre più le culle vuote, laddove adulti stressati dal lavoro tornano a casa con poca o nessuna voglia di mettersi a rincorrere il bambino che gattona per casa.

Quali le cause? Alcune sono senz’altro note e denunciate: difficoltà di trovare lavoro, di trovare un’abitazione, di mettere su famiglia e difficoltà, una volta che questa si sia realizzata, di conciliare il lavoro con il ruolo di madre. Il dato è sconsolante: il 25% delle donne italiane non diventerà mai madre, contro il 14% delle americane e il 10% delle francesi. Inoltre, l’età avanzata in cui si decide di affrontare la prima gravidanza incide sull’aumento dell’infertilità, che affligge ormai il 20% delle coppie italiane.

Ma la causa più profonda è culturale, avendo a che fare con la promozione della vita. Non c’è voglia di diventare genitori, perché questo non costituisce più una priorità. E poi c’è l’affermazione della cosiddetta sovranità riproduttiva che ha portato al diritto all’aborto come orizzonte valoriale.

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