Ed ora la luce di Lodola nelle piazze d’Europa

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L’artista più pop dell’Italia contemporanea che ha firmato tante copertine di CulturaIdentità, fa splendere il nostro continente con le sue Luminose

Quando entri nel suo studio-laboratorio a Pavia è come passeggiare nelle vie dei paesi del Sud che ti affascinano con le mille luminarie. Le luminose di Marco Lodola sono un altro simbolo d’italianità, quel marchio di fabbrica unico che unisce tradizione ed innovazione. L’artista della luce, il neo futurista che sa leggere il passato in chiave pop ci fa viaggiare nelle icone della nostra cultura e ce le restituisce rinnovate come in un tuffo giocoso dentro un luna park.

Lodola è un maestro di luce neo futurista che illumina queste icone pop unendo, come ci disse in un’ intervista pubblicata su «CulturaIdentità», «le suggestioni del Beato Angelico, dei futuristi, di Andy Warhol», catturando la luce e restituendoci la Bellezza anche se fuori è buio: qualcosa che è più di un sogno: «La luce dà una impressione di vita che dissolve la paura della tenebra, l’angoscia della notte», ci disse in quell’intervista, aggiungendo che «anche i sogni sono luci nella notte e si dice che tu moriresti se dormissi senza sognare». Ed io che ho chiamato mia figlia Luce, come la terza figlia del fondatore del Futurismo FT Marinetti, mi ci perdo in questi accecamenti dell’anima. È come quando il cristallino dell’iride non mette bene a fuoco e da una macchia di colore ti perdi con l’immaginazione dentro i tuoi pensieri e scappi dalle illusioni. Al cospetto di un’opera di Marco Lodola ti perdi tra Dante e Raffaello, tra un gobetto deperiano ed una Vespa in Love.

In Italia oramai se non hai un Lodola in salone non conti nulla! È lui sa unire creatività e profitto, perché come diceva il Vate d’Annunzio: «l’autopromozione è la prima regola per un’artista che si rispetti». Lui, che negli anni ‘80 dopo un viaggio a Las Vegas, ha catturato e rielaborato il gioco di luce delle tante insegne della città americana, ha intuito che basta un segno per diventare simbolo: e le sue opere, che hanno fatto da copertina ad album musicali di Max Pezzali, 883, e Gianluca Grignani, insieme alle sue collaborazioni con importanti brand come Dior, stanno lì a dimostrare l’importanza del saper unire inventiva e fantasia a quell’utile d’impresa ricavato dallo studio laboratorio di Pavia, una vera e propria «factory» come quella di Andy Warhol.

Le sue sculture luminose in plexiglas, che ne caratterizzano la vasta produzione, si rivolgono al grande pubblico, TV, musica pop, cinema dando l’impronta di sé al nostro immaginario collettivo, spaziando dall’esposizione in importanti musei e gallerie ai grandi eventi legati alla comunicazione di massa. Lodola è generazione d’artisti che fanno lavorare le famiglie, in laboratorio con quel pavimento schizzato di vernice e la macchina del caffè lungo la tranquilla via Pavese, ci trovi la figlia e il genero, i suoi collaboratori e gli studenti d’arte che vogliono imparare. Da grande visionario qual è, non ha bisogno di viverla la metropoli : la ricostruisce in provincia nel suo loft industriale. Ed è autoironico, scherza con la lunga serialità delle sue opere ispirandosi ai Futuristi. Usa il bisturi dei chirurghi per tagliare la plastica che si applica sulla scocca delle sue opere come facevano con gli avvisi luminosi Marinetti e i suoi quando usavano segnalare che in città c’erano bar, ristoranti, sculture. Marco Lodola è cultura e identità per questo nella copertina di questo numero immaginiamo le sue opere nelle piazze del Vecchio Continente che con lui tornerebbe giovane. Ama Napoleone, e così dall’Arco di Trionfo a Parigi fino alla Alexanderplatz a Berlino la sua genialità possa illuminare la via di quell’Europa dei Popoli e della Cultura che noi tutti finalmente auspichiamo. Unita e diversa nel suo essere Nazione.

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